Ue: accordo su riforma governance economica. Jahier, “buona notizia, ma si poteva fare di più. Bicchiere mezzo pieno”

Luca Jahier (photo SIR/EESC)

Parlamento europeo e Consiglio Ue, assieme alla Commissione europea, hanno raggiunto un accordo nella notte tra venerdì e sabato, sulla riforma della governance economica. “In tempo per poterlo presentare alla ratifica del Consiglio e del Parlamento, prima della pausa elettorale”, spiega Luca Jahier, già presidente del Comitato economico e sociale Ue, esperto di temi comunitari. “Un accordo sull’equilibrio possibile, a Trattati vigenti, tra il risanamento realistico delle finanze pubbliche e il mantenimento di un margine di manovra fiscale per gli Stati membri, per proseguire negli investimenti necessari nelle 4 priorità politiche dell’Ue: le transizioni climatica e digitale, la sicurezza energetica e la difesa”.
“La sospensione del Patto di stabilità decisa con la pandemia Covid-19, che ha fatto ulteriormente esplodere il debito pubblico di tutti i Paesi europei, è giunta al suo termine con la fine del 2023. Senza un accordo sulla riforma, il ritorno alle precedenti condizionalità sarebbe stato insostenibile per gran parte dei Paesi europei, Italia in testa, anche di fronte al succedersi delle crisi sistemiche di questi anni (inflazione, guerra, nuove gravi turbolenze geopolitiche)”. Questo accordo, commenta Jahier, “è una buona notizia, malgrado in molti avremmo voluto di più”.
“Primo: le condizionalità aggiuntive imposte già a dicembre dai Paesi frugali e che hanno reso più rigido e anche più “barocca” la riforma […] sono assai meno pesanti del precedente obbligo di riduzione di 1/20 annuo del debito eccedente il tetto del 60% (per l’Italia, che ha un debito oggi pari al 140% del Pil, tale riduzione annua sarebbe pari al 4%, cioè quattro volte quanto ora previsto dalla riforma)”. Secondo: “la sostanza della buona riforma proposta in primavera dalla Commissione è rimasta, […] affiancata ora da una ulteriore esclusione e/o diversa ponderazione di alcune spese e investimenti (per esempio quelle legate ai cofinanziamenti di progetti finanziati dal bilancio europeo, la difesa, gli investimenti a debito del Pnrr…), tutti voluti dal Parlamento europeo, che lasciano più margini e incentivi ai singoli Paesi. Essendo ormai fissata in modo chiaro sia l’inclusione degli investimenti sociali che gli obblighi di convergenza sociale nei piani di rientro del debito”.
Terzo: “l’accordo sulla riforma è un chiaro segnale di forza e stabilità per i mercati finanziari, che sono così cruciali per evitare speculazioni sui titoli del debito pubblico, soprattutto di alcuni Paesi”.
In conclusione: “non è il migliore dei mondi possibili. Era certo legittimo aspettarsi di più dopo le scelte straordinarie e inedite fatte di fronte alle crisi sistemiche degli ultimi 4 anni. Ma il bicchiere è mezzo pieno e anche se avremmo voluto meno aritmetica questa riforma è un avanzamento decisivo. Molto ora dipenderà dalla sua applicazione: il diavolo si cela sempre nei dettagli, che saranno nelle tappe successive”.

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