Tribunale Rota Romana: mons. Arellano (decano), “chi opera per la giustizia nella Chiesa mette in atto un ministero di guarigione e di liberazione”

“Dalle Decisioni rotali deve scaturire l’affermazione del diritto sopra ogni tipo di abuso, l’ammonimento che a nessuno è concesso di avvalersi del potere che è affidato esclusivamente nell’interesse altrui, e che mai dovrà assurgere ad essere strumento di oppressione sugli altri ed in particolar modo sui deboli”. Lo ha detto mons. Alejandro Arellano Cedillo, decano del Tribunale della Rota Romana, nell’indirizzo di omaggio a Papa Francesco, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, nella Sala Clementina.
“La necessaria ‘aequitas’, che sempre deve animare chi esercita la giustizia, deve congiungersi al fine supremo della legge nella Chiesa, che è la salvezza delle anime. Chi amministra la giustizia è un servitore della salvezza perché solo servendo la causa della ‘salus animarum’ saremo anche discepoli di Cristo – ha osservato il decano -. Per noi che promuoviamo e tuteliamo la giustizia è fondamentale il servizio alle persone. Tale servizio si nutre di preghiera e di rendimento di grazie, oltre che della carità verso tutti”. Quest’atteggiamento di sollecitudine e cura per le persone, ha aggiunto, è “la qualità fondamentale che deve contraddistinguere chi esercita la giustizia nella Chiesa. Proprio per questo, amministrare la giustizia e applicare il diritto nel popolo di Dio richiede una carità operosa, intesa ad aiutare le persone a fare verità su se stesse, sulle proprie scelte di vita nonché a conformare la loro esistenza al disegno d’amore dell’Altissimo, la cui realizzazione è la sola via che può rendere liberi e felici”.
Chi si rivolge infatti al giudizio della Chiesa “per fare verità sul proprio vincolo matrimoniale o in generale sulla propria situazione davanti a Dio” chiede “un aiuto che solo la carità può dare nel modo più giusto: ogni altra motivazione del lavoro svolto nel Vostro Apostolico Tribunale non sarebbe in conformità alla volontà dell’Eterno”.
In tal modo, ha evidenziato mons. Arellano, “chi opera per la giustizia nella Chiesa mette in atto in realtà un vero e proprio ministero di guarigione e di liberazione, che, applicato all’esercizio della giustizia, non è altro che un riflesso dell’agire di Cristo, nei confronti di coloro che invocano la guarigione da ferite, spesso trascinate da anni e tali da incidere profondamente nella loro vita”. Infine, “per esercitare il delicato ministero del discernimento e del giudizio in situazioni dove è in gioco la vita e la felicità delle persone, occorre vivere, come l’esperienza spirituale del deserto, in cui si riceve in dono una grande libertà interiore, una purezza di cuore, da invocare nel dialogo orante e nell’ascolto perseverante del Signore”. A chi opera la giustizia e il giudizio nella Chiesa, ha concluso il decano, “va dunque raccomandato l’amore al deserto, la ricerca della solitudine con Dio e l’esperienza dell’ascolto contemplativo ed eucaristico. Con la luce proveniente dallo Spirito Santo la libertà e la purezza del n ostro giudizio saranno così favorite e custodite”.

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