Popoli e Missione: nel numero di giugno migranti in cerca di futuro, ad ogni costo. Editoriale di mons. Montenegro

“Non possiamo cadere nell’errore di definire ‘emergenza’ una situazione che esiste e si evolve da anni. Non possiamo voltarci dall’altra parte, o continuare a prendere decisioni temporanee, occorre pianificare il futuro con lungimiranza per lo sviluppo dei popoli, in una logica di interventi che, oltre il mondo istituzionale, deve coinvolgere la società civile”. Così monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, parla dei flussi migratori nell’editoriale di apertura del nuovo numero di Popoli e Missione, che raccoglie voci di politici, testimoni e protagonisti del fenomeno migratorio. A partire dalla lunga intervista realizzata in esclusiva per Popoli e Missione all’europarlamentare Pietro Bartolo, per 30 anni medico nell’isola di Lampedusa che parla dei nuovi impegni che lo vedono in prima linea a Strasburgo per costruire una vera politica migratoria comune fra i 27 Paesi dell’Unione europea, in particolare per la riforma del Regolamento di Dublino. Alla sua voce si aggiunge quella di Luca Jahier, studioso, già presidente del Comitato economico e sociale europeo, che spiega perché una migrazione legale è possibile, oltreché urgente e necessaria per molti Paesi che mancano di forza lavoro in alcuni importanti settori: dal turismo alle costruzioni, dall’agricoltura, alla sanità.
In “Primo piano” una inchiesta sul lavoro dei braccianti in Calabria, nelle serre di Roggiano di Gravina dove molti immigrati sfuggiti alle maglie del caporalato locale lavorano per raccogliere frutta e verdura e mandare i soldi alle famiglie. Intorno a loro si muovono associazioni e volontari e la Chiesa calabrese, di cui è espressione monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio che sottolinea: “la tragedia di Cutro ha cambiato qualcosa e la narrazione dell’immigrazione come un pericolo non è più sostenibile – dice –. Quel naufragio ha scosso le coscienze di tutti. Vedere quelle scene, sentire quei pianti e quella disperazione così vicina, così profonda, ci ha aperto gli occhi”.

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