“Sono qui volentieri per dire alla Camera del Lavoro, al sindacato della Cgil, che vi stimo. Il sindacato è una qualcosa che merita la stima di tutti e un ruolo dentro la dinamica della società”. Ha esordito così monsignor Delpini, nel suo dialogo, con il segretario generale della Cgil di Milano, Luca Stanzione, che si è svolto presso un gremito salone “Di Vittorio” della sede della Camera del Lavoro del capoluogo lombardo. “Contro che cosa siamo chiamati a lottare, cosa fa male al nostro convivere?”, si è chiesto subito Delpini. “Dobbiamo contrastare l’individualismo egocentrico che induce a mettersi al centro del mondo e a vivere i rapporti in modo funzionale al proprio interesse. Di fronte a questo, l’associazionismo si indebolisce e sopravvive solo nella misura in cui risulta vantaggioso per l’associato. Ciò induce a una frantumazione del convivere perché la difesa del proprio interesse tende a cancellare la cura del bene comune. Così si configura una separazione: alcuni hanno la possibilità di parlare e di farsi sentire, altri non hanno voce”.
E qui è arrivato l’affondo del presule. “Occorre contrastare il sistema economico finalizzato unicamente al profitto. La tendenziale riduzione dell’economia alla finanza e la concentrazione delle risorse finanziarie in poche mani potenti dà vita a un meccanismo di accumulo e di saccheggio: per accumulare ricchezze sono derubati i più deboli, i lavoratori, i pensionati, i giovani. Si producono scarti, quando lo scopo del sistema è incrementare il profitto, e si mettono nelle mani di poche persone ricchezze immense. La geopolitica avveduta riconosce lo spietato sfruttamento delle risorse che sono sul pianeta per necessità di puro profitto. Si tratta non di una questione locale, ma di un sistema e questo dobbiamo sentirlo come inaccettabile”.
Poi, il riferimento “alla globalizzazione del paradigma tecnocratico”, così come è delineata nella Laudato si’. “Invece che dai rapporti e scambi interpersonali, l’attività produttiva pare governata dalla tecnocrazia e la valutazione è ridotta al calcolo degli utili. La tecnocrazia toglie l’anima alla vita sociale. Il lavoro dovrebbe essere quel luogo dove si incontrano la costruzione della persona e il bene della società – come dice la Dottrina sociale della Chiesa –, ma nella pratica ordinaria mi sembra che questa comprensione si sia persa e manchi un senso. Perciò, la capacità di interpretare il lavoro, difendendo i lavoratori nei loro diritti e nella possibilità di vita desiderabile, deve essere frutto non solo di un’azione, ma di una riflessione. Questo è un tema a cui non vi potete sottrarre”, ha concluso l’arcivescovo rivolgendosi direttamente ai presenti e suggerendo alcuni percorsi. Come “l’organizzazione solidale, perché il disinteresse delle persone per l’ambiente e la città in cui vivono segna il declino di una società e la solidarietà che ha tante manifestazioni commoventi, sembra quasi che sia invisibile. Bisogna percorrere, allora, una strada condivisa”. E, infine, la formazione “che non è solo addestramento, trasmissione di alcuni principi, ma camminare perché prenda forma la persona, rendendo desiderabili alcuni valori. Ma se la generazione adulta è sempre scontenta, perche i giovani dovrebbero desiderare di diventare adulti?”. E scatta l’applauso scrosciante.