Pena di morte: Amnesty, uno strumento per mettere paura. L’aumento delle esecuzioni mostra la mano dura dello Stato

In occasione della ventitreesima Giornata mondiale contro la pena di morte, che si celebra ogni anno il 10 ottobre, Amnesty International si è unita alla Coalizione mondiale contro la pena di morte e ad altre organizzazioni e associazioni abolizioniste per denunciare “il continuo uso della pena capitale e incoraggiare le iniziative volte alla sua completa abolizione”. Le tendenze sin qui riscontrate nel 2025 – scrive l’organizzazione umanitaria – illustrano “un significativo aumento delle esecuzioni in alcuni Stati: alcuni governi hanno mostrato una rinnovata ostinazione a usare questa punizione crudele come strumento di repressione e controllo, spesso accompagnata da fallaci narrative volte a creare una falsa impressione di sicurezza e della mano dura delle autorità nonché a ottenere vantaggi politici”. Dopo i minimi storici registrati durante la pandemia da Covid-19, i dati complessivi raccolti da Amnesty International risultano in “continuo aumento”: negli ultimi anni, “ancora di più negli ultimi mesi, l’uso della pena di morte si è intensificato in un contesto globale caratterizzato da insicurezza, instabilità politica ed economica e, in alcuni stati, da operazioni militari. In uno scenario nel quale lo stato di diritto e il rispetto del diritto e degli standard internazionali sui diritti umani si vanno indebolendo, l’aumento delle esecuzioni mostra tanto l’arbitrarietà della pena di morte quando la politicizzazione del suo uso”. Nei primi nove mesi del 2025 le esecuzioni hanno raggiunto livelli “allarmanti” in alcuni stati: il numero delle esecuzioni registrate nell’intero 2024 è “stato superato o è persino raddoppiato”. In alcuni stati la pena di morte è utilizzata come “strumento di repressione politica, con un impatto sproporzionato sui gruppi marginalizzati (come i curdi, gli afgani e i beluci in Iran o gli sciiti in Arabia Saudita). I reati per i quali vengono emesse le condanne a morte, al termine di processi gravemente irregolari, riguardano presunte minacce alla sicurezza dello stato, appartenenza a gruppi terroristi o, nel caso dell’Iran soprattutto dopo la ‘guerra dei 12 giorni’, lo spionaggio in favore di Israele”. Nonostante tutti questi “passi indietro – scrive Amnesty –  la speranza di un mondo senza esecuzioni non viene meno”. Il 25 giugno 2025 il parlamento del Vietnam ha eliminato la pena di morte dal codice penale per otto reati. In Malesia, dove nel 2023 l’obbligo della pena di morte per determinati reati era stato abolito, sono state commutate oltre 1000 condanne e, il 21 luglio 2025, l’ufficio del primo ministro ha annunciato che la moratoria sulle esecuzioni istituita nel 2018 sarebbe rimasta in vigore, sottolinea l’organizzazione aggiungendo che ad oggi 113 Stati hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e quasi tre quarti di tutti gli Stati del mondo lo hanno fatto nelle leggi o nella prassi”.

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