“L’interiorità rinnovata dallo Spirito non è mai isolata e individualistica ma personale ed ecclesiale insieme, indivisibilmente”. Lo ha detto, sabato sera, mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, nella veglia di Pentecoste. “Ne trovo due segni di riscontro nell’attualità sociopolitica ed ecclesiale. I governi, per un verso, vivono nell’affanno di formulare riforme e leggi sempre più adeguate perché la vita delle società possa scorrere secondo giustizia, libertà, benessere. Si tratta di un’azione necessaria, ma, se non ci sono cittadini che quelle leggi vogliono osservarle, difficilmente il risultato sarà quello sperato”, ha osservato il presule, aggiungendo che “negli ultimi anni siamo stati richiesti di dedicare maggiore attenzione all’insegnamento sociale della Chiesa, che è in grado di suggerire e ispirare una visione della società e della sua organizzazione tale da assicurare una serena e giusta convivenza. Ma anche in questa prospettiva il problema rimane lo stesso, poiché anche una società strutturata secondo i principi cristiani – ammesso che oggi sia possibile – non è automaticamente una società giusta e uguale, se non ci sono persone, compresi i cristiani, che sono convinte e motivate ad agire secondo quei principi”.
Rispetto alla nostra vita da credenti, il vescovo ha osservato che “siamo veramente umani perché strutturati attorno a una sete di infinito che ci spinge sempre oltre tutto ciò in cui possiamo trovare un momentaneo appagamento. E pure questa sete, per essere scoperta e assecondata secondo la sua adeguata destinazione divina, ha bisogno dello Spirito, ha bisogno che ci lasciamo educare da Lui, che ci rendiamo via via sempre più sensibili allo Spirito. E le vie per diventare tali sono quelle che la Chiesa ci indica”.
Ma “proprio la vita di Chiesa – e questa è la seconda riflessione – ci vede talora preda di una molteplicità disordinata di desideri che oscurano l’unica sete che conta e che ultimamente ci possiede”. Mons. Crociata ha messo in guardia: “La tentazione più pericolosa per noi è dentro la religione, quando in essa si perde la distinzione tra il fare e il trattare le cose sante per sé piuttosto che per Dio: ad maiorem Dei gloriam è uno di quei motti che bisognerebbe sempre tenere a mente. Il risultato inesorabile qui è la confusione delle lingue, la perdita della capacità di capirsi, fino all’incomunicabilità. Dobbiamo cercare lo Spirito e chiedergli di imparare a distinguere la ricerca sincera di Dio dalla ricerca di sé stessi. Tra ‘Dio’ e ‘io’ c’è una minuscola differenza lessicale, anzi solo la lettera ‘d’; ma la differenza di sostanza è immensa, perché tra l’uno e l’altro c’è un mondo, un abisso, come tra l’essere e il nulla”.
Parlando delle preoccupazioni del mondo di oggi e facendo riferimento al bisogno della pace, il presule ha esortato: “Ciò che dobbiamo fare è pregare e agire lasciandoci guidare dalla visione della destinazione di pace che è oggetto certo della nostra speranza e della nostra attesa. Per questo abbiamo bisogno dello Spirito, di invocarlo e di assecondarlo. Di qui scaturisce il secondo piccolo consiglio. Non lasciamoci ingannare da qualcuno che pretende di sapere già tutto, di avere la risposta per tutto e di indirizzare i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre decisioni. Nessuno ci illuda che a questioni e situazioni così complesse si offrano risposte e soluzioni semplicistiche. Questo lo fanno i populismi di ogni colore. Ciò di cui abbiamo bisogno non è quello di schierarci, da una parte o dall’altra, se non altro perché sofferenze disumane sono dovunque. Ciò che dobbiamo fare è sperare, pregare e cercare di capire, per dire le parole e compiere i gesti necessari quando ci saranno richiesti”.