Giornata del malato: p. Arice (Cottolengo), “che significa credere nell’amore di Dio quando decine di migliaia di bambini muoiono per la malvagità umana?”

“Mi chiedo e prego che cosa voglia significare in questo tempo essere cristiano e credente nell’amore di Dio quando tu vedi decine di bambini morire per la malvagità umana, e mi riferisco in particolare alla Striscia di Gaza”. Lo ha detto don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza (Cottolengo), nell’omelia della messa per la 32ª Giornata mondiale del malato celebrata ieri. Padre Arice si riferisce al dolore innocente, causato dalla malattia o dalla “malvagità umana”, una sofferenza che “è la più grande prova per la fede” e che finisce per mettere “Dio sul banco degli imputati”. In apertura dell’omelia, il sacerdote ha sottolineato che “tra le tante attività apostoliche che possiamo vedere riassunte nelle opere di misericordia, la missione che Gesù ritiene più indispensabile” è “la cura dei malati. Perché?”. “Perché la malattia era considerata sovente un castigo di Dio, come nel caso della lebbra”, perché “provoca isolamento e non di rado anche abbandono”, perché “è sempre causa di sofferenza fisica e spirituale e il dolore, soprattutto quello innocente, è la più grande prova della fede”. Ma anche perché nella malattia “la domanda di senso diventa più forte” e “non contano più gli interessi mondani”; infine perché la malattia “è anche annuncio di morte, fa memoria della nostra fragile esistenza” e “questo ci fa paura”.
Nel Messaggio per la Giornata, riprende p. Arice, “il Papa sottolinea l’importanza della relazione come primo atto di cura”. “Lasciare solo il malato – scandisce il religioso – è lasciare solo Gesù Cristo vivo oggi, oltre che compiere una delle azioni più disumane che si possano fare”. Infine, con riferimento a Bernadette, p. Arice conclude: “Bernadette ci ricorda che il malato è anche soggetto di evangelizzazione, e non soltanto destinatario, soprattutto con l’offerta della propria vita e delle proprie sofferenze, Dio non ama l’uomo soffrire, ma quando questa sofferenza è vissuta con amore e per amore diventa misteriosamente parte del mistero redentivo di Dio, partecipazione alla Croce di Cristo per la salvezza del mondo”.

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