Giornata del malato: card. Betori (Firenze), “farsi prossimi, sentire dentro al proprio cuore quello che sentono le persone sofferenti”

“Noi tutti che abbiamo bisogno di essere guariti, liberati, sanati dall’amore misericordioso di Dio in Cristo Gesù. Anche noi siamo chiamati a custodire nel nostro cuore la grazia di aver incontrato il liberatore della nostra vita. In un mondo che vive di sensazionalismo e di pubblicità, la fede ci invita al delicato riserbo, sia nel prenderci cura dei più fragili sia nel fare esperienza di rinascita grazie a questo gesto”. Lo ha affermato sabato il card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, durante la messa che ha presieduto nella basilica di Santa Croce in occasione della 32ª Giornata mondiale del malato.
Commentando la pagina evangelica in cui Gesù guarisce un lebbroso, il porporato ha rilevato che “in quel lebbroso sono rappresentati tutti gli uomini prostrati dalla sofferenza, dall’esclusione, dall’abbattimento fisico e morale, dalla paura della malattia e della solitudine; ma animati dal desiderio di essere ascoltati”. “In quel lebbroso – ha proseguito – sono rappresentati infatti tutti coloro che tendono una mano, che chiedono aiuto, che sperano che qualcuno li ascolti e – ascoltandoli – si faccia carico della loro sofferenza. A quella mano che chiede aiuto, risponde la mano che reca aiuto. Alla richiesta di aiuto del lebbroso, Gesù tende la mano, lo tocca e dice: ‘Lo voglio, sii purificato!’ (Mc 1,41)”.
Il card. Betori ha poi sottolineato l’importanza di “farsi prossimi e attenti, farsi vicini, farsi presenti a coloro che sono segnati dalla sofferenza e dall’esclusione, sentendo dentro di noi la sofferenza e la speranza dei malati”. “Sentiamo vibrare le corde della nostra anima di fronte alle grandi sofferenze che vediamo intorno a noi? E ai malati chiediamo: vedete intorno a voi persone che come Gesù si fanno carico nel più profondo del loro cuore di quella sofferenza vissuta da tanti di voi?”, ha domandato l’arcivescovo. “In fondo – ha evidenziato –, è tra le missioni più grandi della Chiesa proprio questo: farsi prossimi, sentire dentro al proprio cuore quello che sentono le persone sofferenti”.

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