Ucraina: mons. Kulbokas (nunzio), “nella situazione difficile in cui ci troviamo, non possiamo lasciare nulla di intentato”

(da Kyiv) “Qualcosa si sta muovendo, nel senso che qualche minimo risultato c’è. Questo ci fa capire che è sempre meglio fare qualcosa che nulla”. Parla il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Visvaldas Kulbokas, che, ricevendo il Sir nella sede della nunziatura a Kyiv, fa il punto sulla missione di Papa Francesco e del card. Zuppi, sulla liberazione dei prigionieri e sullo sforzo di riportare a casa i bambini ucraini deportati in Russia. Il nunzio parla di piccoli passi ma aggiunge: “Nella situazione difficile in cui ci troviamo, non possiamo tralasciare nulla di intentato”. Domenica scorsa, a Kyiv, parenti e amici dei prigionieri ucraini hanno di nuovo manifestato per la loro liberazione, chiedendo di intensificare tutti gli sforzi possibili per riportarli a casa. Su quanto concretamente la diplomazia della Santa Sede può fare, il nunzio risponde: “È un problema enorme”. “Sono tantissimi. Peraltro, sono prigionieri non soltanto i militari, ma anche tanti civili ed è un grandissimo problema. Tra loro ci sono anche i due sacerdoti greco-cattolici redentoristi catturati a Berdiansk che sono prigionieri da oltre un anno. Sono in contatto con le associazioni dei familiari dei prigionieri e da loro ricevo testimonianze di grandissima sofferenza. Le storie che mi raccontano sono raccapriccianti. Le famiglie non sanno neanche dove sono e se sono vivi. Sui prigionieri non si hanno informazioni. Molti di loro sono stati catturati senza alcun motivo, presi nelle loro case. Non hanno acqua potabile. Per non parlare del cibo, dei maltrattamenti e delle condizioni in cui devono stare e altro ancora. Proprio su questo fronte, quello cioè dei prigionieri, dei bambini e degli aiuti umanitari, c’è l’impegno primario su cui Papa Francesco insiste personalmente sia parlandone e quindi attirando l’attenzione sia trasmettendo queste richieste alle autorità competenti. I risultati, purtroppo finora, sono pochissimi. Ma questo non vuol dire che si possa interrompere questa attività, perché siamo credenti e perché non abbiamo il diritto di abbassare le braccia. Il cuore delle persone può sempre cambiare. Anche il cuore di chi è responsabile di tanto male. Non sappiamo quando, ma sappiamo che bussando alle porte, un giorno queste porte si apriranno. Lo crediamo ancora di più perché siamo credenti e, oltre a lavorare concretamente, ci affidiamo anche alla grazia di Dio, nella preghiera”.

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