“Noi ti rendiamo il culto della vita”. Con questa espressione, don Francesco Asti, preside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale (Pftim), ha aperto la sua relazione alla 75ª Settimana liturgica nazionale, in corso a Napoli sul tema: “Tu sei la nostra speranza. Liturgia: dalla contemplazione all’azione”.
Il suo intervento ha voluto mettere in luce il nesso inscindibile tra liturgia ed esistenza, tra celebrazione e vita concreta del credente, ricordando che “la liturgia non è un problema da gestire, ma una risorsa a cui attingere per la crescita di tutto il popolo di Dio”.
Per don Asti, occorre liberarsi dal rischio di ridurre le celebrazioni a “fossili sacri2, vuoti di contenuto e incapaci di trasformare l’esistenza. “La realtà è più importante dell’idea”, ha ribadito citando Evangelii gaudium, richiamando il principio del realismo: la liturgia è viva quando diventa grazia che trabocca nella quotidianità, capace di incidere non solo sulla comunità ecclesiale, ma sull’intero tessuto sociale.
In questo senso, ha sottolineato, il richiamo di Papa Francesco (Desiderio desideravi, 24) è chiaro: la liturgia deve essere “l’oceano di grazia” che rinnova ogni istante della vita.
Nella sua relazione, don Asti ha voluto rileggere la sfida della liturgia alla luce del magistero e della testimonianza di don Tonino Bello. Già negli anni Ottanta il vescovo di Molfetta denunciava una liturgia ridotta a “schema articolato di fuori, ma vuoto di dentro”, incapace di trasmettere la gioia della fede.
Parole di bruciante attualità: “Rubricismo, tanto. Ritualismo, a non finire. Moralismo, a volte insopportabile. Fede, zero”, scriveva don Tonino. E ancora: “Se è vero che non può nascere una liturgia d’oro da una Chiesa di latta, a preoccuparci deve essere il constatare che la sposa non ama”.
Per Asti, riprendere quella denuncia significa riconoscere le fragilità odierne: celebrazioni distratte, sacramenti ridotti a eventi mondani, scarsa risonanza della Parola di Dio. Ma anche la necessità urgente di una mistagogia della vita, in cui i segni liturgici parlino alla coscienza e diventino esperienza trasformante.
Il preside della Pftim ha toccato temi concreti: l’anemia di cultura biblica, che rende le celebrazioni spesso incomprensibili; la mancanza di silenzio e preghiera personale, che svuota di profondità l’esperienza comunitaria; la distanza tra liturgia e opzione preferenziale per i poveri.
“2Troppo spesso – ha ammonito – la domenica si prega per i poveri, ma senza incidere nelle scelte concrete di vita. La liturgia non si metabolizza nella quotidianità, e i poveri continuano a vivere il loro Calvario quotidiano senza incontrare Cirenei pronti a portare con loro la Croce”.
Parole che risuonano forti in un tempo segnato dalle guerre, dalle disuguaglianze e dalle fragilità sociali che anche Napoli conosce bene.
Don Asti ha concluso con un appello: “Abbiamo bisogno di liturgie vere, non di spettacoli. Celebrazioni in cui il Signore risorto ci coinvolge così profondamente da scoraggiare ogni superficialità”.
Riprendendo ancora don Tonino, ha ricordato che non basta “celebrare per obbligo”: “La liturgia è la sposa che ama, che si abbandona al Signore, che trova nel silenzio e nella coerenza della vita la sua forza”.
Un invito che, nell’orizzonte del Giubileo, si fa anche programma pastorale: riscoprire la liturgia come cuore pulsante della fede, capace di generare comunità credenti, coerenti e aperte agli ultimi.