La libertà religiosa non è solo un diritto individuale: è il fondamento di società inclusive, prospere e pacifiche. È il messaggio forte emerso dalla tavola rotonda “The societal value of religious freedom: an integral human development approach”, promossa dal Sovrano Ordine di Malta insieme all’Atlantic Council, che ieri ha riunito accademici, rappresentanti religiosi e diplomatici alla Villa Magistrale all’Aventino, per esplorare il legame tra libertà religiosa e sviluppo sostenibile. “La libertà religiosa è il seme della pace e l’anima dello sviluppo. Dove è rispettata, le società prosperano; dove è negata, sorgono i conflitti”, ha dichiarato il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Riccardo Paternò di Montecupo, aprendo i lavori. “Non è soltanto il diritto di pregare – ha aggiunto – ma di appartenere, servire e sperare. Per questo, l’Ordine di Malta non si limita a difendere la libertà religiosa: la vive ogni giorno nelle sue opere, senza distinzione di credo”. Inoltre, come sottolinea il rapporto dell’Atlantic Council, essa “è un potente strumento di motivazione per il progresso umano e per la coesione sociale. In una parola, è una forza motrice dello sviluppo umano integrale. Un concetto che – ha ribadito il Gran Cancelliere – l’Ordine di Malta mette in pratica ogni giorno, sul campo, in modo concreto. Ispirati dai nostri valori religiosi cristiani portiamo infatti servizi umanitari in tutto il mondo, a tutti coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente dalla loro identità nazionale, culturale o religiosa”. A margine il Gran Cancelliere ha poi raccontato un episodio avvenuto durante una sua recente visita in Libano dove, ha detto, “sono rimasto colpito nel vedere un medico libanese di fede sciita che indossava il gilet dell’Ordine di Malta mentre prestava servizio quotidiano in una clinica mobile dell’Ordine, per assistere i rifugiati siriani nella valle della Bekaa. Allo stesso modo, all’ospedale della Sacra Famiglia, gestito dall’Ordine di Malta a Betlemme, la maggior parte dei medici, degli infermieri e dei pazienti sono musulmani. E a Gaza, lo scorso anno, l’Ordine ha fornito per diversi mesi cibo alla popolazione della città di Gaza attraverso la parrocchia cattolica, ma i beneficiari erano cristiani e musulmani senza alcuna distinzione”.
Nei suoi saluti iniziali Joseph Lemoine, Direttore del Freedom and Prosperity Center dell’Atlantic Council, ha ringraziato i partecipanti e illustrato i passi che hanno portato alla stesura del rapporto Changing the conversation about religious freedom, che evidenzia come le restrizioni alla libertà religiosa abbiano impatto concreto sull’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, al cibo, ai servizi essenziali e al lavoro dignitoso, ostacolando così il pieno sviluppo delle comunità. Moderata dal prof. Fabio Petito, docente di religione e affari internazionali alla University of Sussex, alla tavola rotonda ha preso parte mons. Daniel Pacho, Sottosegretario per il Settore Multilaterale della Segreteria di Stato della Santa Sede, che ha sottolineato come “lo sviluppo umano integrale offre un quadro di riferimento per promuovere la libertà religiosa e di credo, affrontando al contempo le sfide interconnesse della povertà, della discriminazione, dei conflitti e del degrado ambientale, che spesso ne compromettono l’effettiva tutela”. La tavola rotonda ha coinvolto anche Sir Malcolm Evans, Preside al Regent’s Park College, Università di Oxford; Mohammed Elsanousi, Commissario Uscirf – United States Commission on International Religious Freedom e Direttore del Network for Religious and Traditional Peacemakers; Rita Moussalem, direttrice del Centro per il dialogo interreligioso del movimento dei Focolari; Adam Seligman, professore di religione all’Università di Boston e fondare del Cedar – Communities Engaging with Difference and Religion. I lavori sono stati chiusi da Scott Appleby, Professore Keough-Hesburgh di Affari Globali e Preside fondatore della Keough School of Global Affairs, Università di Notre Dame.