Dopo 75 anni, una delle testimonianze più straordinarie della pittura etrusca torna finalmente visibile al pubblico. I Musei Vaticani presentano il restauro della copia al vero della Tomba Campanari di Vulci, realizzata da Carlo Ruspi (1786–1863), artista e archeologo del XIX secolo, ora riallestita in esposizione permanente nel percorso del Museo Gregoriano Etrusco. Domani, alle 16, nella Sala Conferenze dei Musei Vaticani, si terrà la conferenza stampa e presentazione ufficiale dell’opera restaurata alla presenza di Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, Maurizio Sannibale, curatore del Reparto Antichità Etrusco-Italiche, Chiara Fornaciari, responsabile del Laboratorio di Restauro Opere su Carta, Flavia Serena, del Laboratorio di Restauro Polimaterico, e Marco Innocenzi, del Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei. Al termine dell’incontro gli ospiti saranno accompagnati in una visita esclusiva alla sala del Museo Gregoriano Etrusco dove è esposta l’opera, simbolo dell’originaria vocazione documentaria del museo inaugurato nel 1837 da Gregorio XVI. Un capolavoro perduto che torna alla luce. La Tomba Campanari (fine IV – III sec. a.C.), scoperta da Secondiano Campanari nel 1833, fu completamente distrutta poco dopo la scoperta a causa di uno sfortunato tentativo di distacco dei dipinti parietali. Ne resta oggi solo una copia pittorica al vero, limitata alla scena con Ade e Persefone, realizzata da Carlo Ruspi tra il 1835 e il 1837. Il resto del ciclo pittorico è noto solo attraverso disegni. La collezione vaticana conserva le riproduzioni di ben sei tombe tarquiniesi, della Tomba François di Vulci e, appunto, della Tomba Campanari, oggi nuovamente visibile. “Il ritorno della copia della Tomba Campanari nel nostro percorso espositivo rappresenta un momento significativo per i Musei Vaticani”, dichiara Barbara Jatta: “Questo restauro non solo restituisce al pubblico un capolavoro della pittura etrusca, ma sottolinea anche il nostro impegno continuo nella valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale”.