Cile: sale la tensione tra Stato e mapuche. Padre Díaz (esperto cultura indigena) al Sir, “questione mai risolta da decenni, si continua con la repressione”

“È una tensione permanente, particolarmente acuta in questo momento. Soprattutto, non si vede una via d’uscita”. Padre José Fernando Díaz, religioso del Verbo divino, uno dei massimi esperti di cultura indigena in Cile, docente all’Università Cattolica di Temuco, assiste in questi giorni con crescente preoccupazione a rinnovati episodi di violenza in Araucanía, la regione del Cile dove vive la popolazione indigena mapuche. Dopo i mesi delle proteste sociali estese a tutto il Paese, a partire dallo scorso ottobre, e il periodo della quarantena, la pentola a pressione, fatta di discriminazioni e storiche violazioni di diritti, è tornata ad esplodere. Nelle ultime settimane, il detonatore è stato la condanna di Celestino Córdova, che ha iniziato insieme ad altri leader mapuche uno sciopero della fame.
“La tensione è alta soprattutto nella zona costiera, ci sono stati diversi scontri – racconta al Sir padre Díaz -. Spesso viene bloccata l’unica grande strada che, seguendo le Ande, attraversa il Cile da nord a sud. Certo, i mapuche sono formati da popolazione campesina, povera, le loro armi sono pali, pietre, frecce… ma le forze dell’ordine hanno represso con violenza, causando ulteriori proteste. Ricordo che per legge i mapuche in carcere hanno diritto a un trattamento differenziato, cosa che non è avvenuta”.
Riemergono, così, antichi conflitti, mai risolti da decenni: “L’Araucanía a un certo momento fu come il far west, vennero coloni da altre zone del Cile e dall’Europa, soprattutto dalla Germania. Occuparono le terre dei nativi, che furono confinati nelle riserve. Terre che le popolazioni originarie continuano a rivendicare. Le tutele legali non sono rispettate, mentre sempre più nel territorio vengono alla luce mega-progetti minerari o per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica. Tra i mapuche, ci sono oggi dei giovani istruiti e consapevoli, che comprendono le ragioni della loro storica povertà”. La protesta, così, si intensifica, ma con essa anche la repressione, complice anche la situazione complessiva del Paese, tra i più colpiti a livello mondiale dalla pandemia.

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