Bioetica: addio a Birthe Lejeune, vedova di Jérôme, scopritore della sindrome di Down, scienziato e umanista, servo di Dio

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Di lei ho un bellissimo ricordo, una donna forte, decisa nelle sue convinzioni. Credo sia stata una grande sponda per sostenere suo marito Jerome nel portare avanti la sua missione di medico, scienziato e uomo di fede”. Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e responsabile dell’Hospice perinatale del Policlinico Gemelli, ricorda così Birthe Lejeune, moglie del celebre Jérôme Lejeune, colui che ha scoperto la sindrome di Down, morta ieri a 92 anni dopo una lunga malattia. Madre di 5 figli e nonna di 28 nipoti, Birthe Lejeune è stata ambasciatrice instancabile delle tre missioni – “Cercare – Curare – Difendere” – della Fondazione, di cui era vice-presidente, e ha contribuito in modo decisivo a prolungare l’impegno di suo marito al servizio dei più deboli. Dopo il suo matrimonio nel 1952, e fino alla morte di Jérôme avvenuta nel 1994, Birthe Lejeune ha seguito attentamente il lavoro di ricerca e medicina di suo marito. Lo ha incessantemente spalleggiato e sostenuto nella lotta che ha combattuto come medico e genetista per far sì che la vita umana fosse rispettata dal concepimento fino alla morte naturale.
“Questa donna è in cielo – prosegue Noia –, l’ho conosciuta bene, così come conosco bene la Fondazione. Con suo marito aveva un legame identitario. Jérôme Lejeune non solo è stato un grande uomo di scienza ma, soprattutto, un uomo di grande fede! Ricordo che in una delle tante presentazioni del suo lavoro finì la sua relazione citando Matteo 25: ‘Quello che avete fatto a uno di questi piccoli lo avete fatto a me'”. Per Noia, “una dichiarazione di grande coraggio che probabilmente gli costò il Nobel per la medicina. Con il suo lavoro e il contributo di sua moglie, ha scoperto la sindrome di down. La Fondazione che porta il suo nome ha sovvenzionato e continua a stimolare la ricerca attraverso progetti in ogni parte del mondo: e questo è molto bello”.
“Con sua moglie – aggiunge – erano un corpo solo e un’anima sola. Birthe era l’anima della Fondazione intitolata al marito. Lei ha sposato in pieno la visione del marito, sia nella scienza sia nella difesa della vita sia nella fede. Il loro è un altro fulgido esempio di ‘coppia cristiana’, coppia santa di sposi, che la Chiesa mette in evidenza, come i coniugi Beltrame Quattrocchi o i genitori di Santa Teresina di Lisieux. La loro è stata una vita semplice, integra direi, vissuta in una piena adesione alla vocazione al matrimonio”.
Tre, secondo Noia, “gli aspetti della loro missione: la scienza, la fede e la testimonianza. Sono stati grandiosi. Jerome Lejeune e sua moglie Birthe avevano capito che la scienza è un mezzo e non un fine. So che San Giovanni Paolo II aveva così grande stima di questo medico tanto da volerlo come primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita”. Non vorrei minimizzare – conclude Noia – ma il detto che ‘dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna’ credo che in questo caso rispecchi in pieno la realtà. Una grandissima donna, che con lui e insieme a lui e per lui ha affrontato la triplice sfida dell’esistenza umana: la scienza come servizio, la testimonianza e la fede in Gesù Cristo Signore della Vita”.

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