Sarà consegnato a Stéphane Brizé il ventiseiesimo Premio Robert Bresson. La cerimonia si svolgerà venerdì 29 agosto, alle ore 15, presso la Sala Tropicana 1 dell’Hotel Excelsior, nell’ambito dell’82ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il premio, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo, con il patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, viene attribuito ogni anno a un regista che abbia saputo testimoniare con sincerità e profondità il difficile cammino nella ricerca del significato spirituale dell’esistenza.
“La legge del mercato” (2015), “In guerra” (2018) e “Un altro mondo” (2021): nessuno come il regista francese Stéphane Brizé ha saputo declinare il mondo del lavoro sul grande schermo, con un battito umanista e una estensione poetica da ridestare sensi e pensieri. Guardia giurata nel primo, sindacalista nel secondo, dirigente d’azienda nel terzo, Vincent Lindon è il suo profeta, attore feticcio, uomo senziente, anima contundente.
Eppure, sarebbe limitante circoscriverne la cinematografia all’ambito lavorativo e occupazionale, giacché Brizé, classe 1966, nativo di Rennes, dall’esordio “Le Bleu des villes” (1999) all’ultimo, “Le occasioni dell’amore” (Hors-saison, 2023), interpretato da Alba Rohrwacher e Guillaume Canet, ha inquadrato campo e cuore, uomo e donna, carne e spirito, ragione e sentimento.
Come nell’adattamento dell’omonimo romanzo di Guy de Maupassant, “Una vita” (2016), il regista e sceneggiatore sublima il senso dell’esistenza in parole, immagini e missioni. Le mani sporche di lavoro, la coscienza pulita di speculazione, gli occhi per dire di sé, di noi, della vita: lunga un film, larga un’anima.
Nella motivazione del Premio – realizzato e donato da Pianegonda – si legge: “A Stéphane Brizé va il Premio Robert Bresson 2025 per la capacità di parlare dell’uomo e del lavoro, dell’anima e dell’impegno, senza mai sottrarsi alla dignità e alla complessità: il regista e sceneggiatore francese colloca la macchina da presa nelle zone dolenti del nostro stato dell’arte e non scende a compromessi: necessità umana e virtù cinematografica”.