“Lo sport è generatore di comunità, perché viene praticato mettendo al centro le persone e valorizzando il piacere del giocare; insieme fa crescere in ciascuno un senso di partecipazione, di condivisione, fa sentire parte di un gruppo”. Lo scrive l’arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, mons. Leonardo D’Ascenzo, in una lettera alla comunità diocesana, in occasione del Giubileo dello sport che si terrà a Roma il 14 e il 15 giugno, considerando il prezioso servizio che lo sport svolge in diocesi attraverso le attività degli oratori e dei centri agonistici giovanili.
Il presule ricorsa di aver voluto promuovere “la nascita di una squadra di calcio di preti, che ricordi alla nostra Chiesa particolare che è indispensabile, alla luce del cammino sinodale, imparare a fare ‘gioco di squadra’, unendo il proprio carisma a quello degli altri, superando uno sterile individualismo”.
Mons. D’Ascenzo osserva: “Lo sport, per la sua vocazione educativa, deve generare personalità mature e riuscite. La pratica sportiva permette di misurarsi con i propri limiti e di mettere a frutto le proprie potenzialità. Auspico che lo sport sia una ‘casa aperta e accogliente’, per superare pregiudizi, paure, stereotipi, diventando possibilità di riscatto da condizioni di marginalità”.
L’arcivescovo evidenzia anche che “sono ancora parecchie le barriere da rimuovere: fisiche, sociali, culturali ed economiche che precludono ed ostacolano l’accesso allo sport, perché ‘tutti’ possano sviluppare i propri talenti a partire dalla propria condizione, anche di fragilità o disabilità”. Infatti, “nessun sportivo è un superuomo o una superdonna, tutti abbiamo limiti da superare cercando di dare il meglio di noi stessi”.
Il presule mette in guardia da alcuni pericoli: “Il rischio di cadere nel vortice del profitto; il ridurre l’attività sportiva solo a un mezzo per migliorare il proprio aspetto fisico diventando ostaggio della cultura dell’immagine; il prendere scorciatoie che ci esentano dal rispetto delle regole e dal sacrificio è sempre in agguato, ma tutto ciò non si può chiamare sport”.
Mons. D’Ascenzo conclude: “Lo sport è un linguaggio in grado di farci comunicare con i giovani, pertanto vi auguro di usarlo per veicolare valori sani insieme all’annuncio cristiano e per la sua forza di coesione e di integrazione trovi spazio nel cantiere della pace”.