Concilio di Nicea: Vogel (valdese) al Sae, “ha stabilito una grammatica della fede che ci unisce”

Le Chiese protestanti lungo i secoli hanno redatto delle Confessioni di fede secondo i linguaggi del tempo nelle quali il termine “homoousios” compare in tutte, salvo pochissime eccezioni: lo ha spiegato Lothar Vogel, decano della Facoltà valdese di Teologia di Roma, intervenendo al panel “Confessare Gesù Cristo per l’ecumene, tra Nicea e oggi”, durante la 61ª sessione di formazione del Sae a Camaldoli. “Nicea ha stabilito una grammatica della fede che ci unisce”, ha osservato.
Nella teologia riformata, da Lutero e Melantone in poi, i Concili possono errare essendo un’espressione umana e quello di Nicea è ritenuto autorevole non di per sé, ma perché la sua dottrina proviene dalla Scrittura. Ma per i riformatori seguire la Scrittura “non vuole dire ripetere il dettato della Bibbia, ma riconoscere la possibilità di una certa creatività linguistica”. Del Concilio del 325 Vogel ha messo in luce anche una problematicità: “La verità viene definita nella sua differenza da un errore su cui si pronuncia un anatema”, con diverse conseguenze tra cui la stigmatizzazione di chi non la pensava allo stesso modo e le esclusioni. In conclusione ha rilevato che “è importante ricordare Nicea perché ne siamo debitori, tutti quanti provano ancora a dire e vivere la buona novella legata a Gesù Cristo. Per me, in questa memoria rientra anche, però, l’empatia con gli sconfitti”.

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