Alimentazione: Oxfam, “il sistema è rotto, sempre più diseguale”

La fotografia scattata dal nuovo report “The State of Food Security and Nutrition in the World” (Sofi) pubblicato ieri dalla Fao presenta “solo un leggero miglioramento nella riduzione della fame globale”. Il sistema alimentare si può dire “rotto” e “sempre più disuguale con oltre 673 milioni che soffrono la fame a diversi livelli di intensità, di cui quasi la metà sono in Africa. Di questo passo sarà quindi impossibile centrare l’obiettivo ‘fame zero’ entro 2030, come definito dall’Agenda Onu, perché a quella data ancora oltre mezzo miliardo di persone vivranno in condizioni di insicurezza alimentare”. È quanto denuncia oggi Oxfam. “Il patto morale e di civiltà tra paesi ricchi e poveri sta crollando. La fame globale segna un piccolo arretramento complessivo dall’8,5% all’8,2%, mentre peggiora la situazione in Asia occidentale e in Medio Oriente e soprattutto nel continente africano, il vero epicentro della crisi”, spiega Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia: “mentre i principali donatori del mondo, inclusi i paesi del G7, stanno spingendo per un taglio degli aiuti umanitari e di sviluppo del 28% entro il 2026 e solo il World Food Program vedrà tagliate le proprie risorse del 40% il prossimo anno, circa 2,6 miliardi di persone non possono permettersi una dieta sana. Non sono solo numeri, significa impedire che un terzo dell’umanità possa avere presente e futuro dignitosi”. L’inflazione dei prezzi dei beni alimentari è arrivata al 30% nei paesi poveri, colpiti da conflitti e crisi climatica. “Quella che abbiamo di fronte non è una crisi causata dalla scarsità di risorse ma dalla loro sempre più disuguale distribuzione alimentata da conflitti sempre più fuori controllo, dalla crisi climatica, da politiche sbagliate e da fenomeni speculativi”, continua Petrelli: “solo nel 2024 la ricchezza dei miliardari globali è cresciuta di 2 mila miliardi di dollari, mentre la povertà nel mondo si è ridotta di pochissimo. Dal 2015, l’1% più ricco ha accumulato 33,9 trilioni di dollari – abbastanza per porre fine alla povertà globale 22 volte. Eppure la fame nei Paesi poveri persiste, non per caso, ma perché è funzionale. Mentre i campi si allagano e i raccolti vengono distrutti dalla siccità o dai conflitti in corso, gli aiuti vengono tagliati e poche grandi aziende del settore agroalimentare traggono profitto dal disastro. Basti pensare all’inflazione dei prezzi dei beni alimentari cresciuta in media del 13,6% a livello globale nel 2023 e del 30% nelle economie più fragili dei paesi a basso reddito. Ad esempio in Africa dove già una persona su 5 soffre di malnutrizione cronica e dove i più colpiti sono donne e bambini”. Da qui la richiesta di “un immediato cambio di rotta”. “Non è ancora troppo tardi – aggiunge Petrelli – Per questo è cruciale che vengano ripristinati gli aiuti tagliati, arginate le speculazioni in corso attraverso un mercato del cibo più regolato e trasparente, che i Paesi donatori investano sui sistemi agricoli locali, da cui dipende la sopravvivenza della popolazione dei paesi più poveri”.

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