Bolivia nel caos per i blocchi stradali messi in atto dai sostenitori dell’ex presidente Evo Morales, e successivi scontri e proteste. Epicentro del conflitto il comune minerario di Llallagua, nel dipartimento di Potosí, dove negli scontri sono morti 4 agenti di polizia. 112 i feriti, la maggioranza dei quali ricoverati nel locale ospedale, alcuni in condizioni critiche. Secondo il Governo, in tutto il Paese si sono registrati ieri 191 feriti. L’altra zona dove la protesta è particolarmente forte, è il dipartimento di Cochabamba (ieri 57 feriti), tradizionale roccaforte di Morales, che pretende di ricandidarsi alla presidenza, nonostante la Costituzione non glielo consenta, e non ha esitato a spaccare il partito socialista Mas, oggi al governo, e a bloccare il Paese, causando forti danni all’economia e alla vita quotidiana delle persone.
La Conferenza episcopale, in una nota diffusa ieri dalla Presidenza, rivolge un accorato appello alla pacificazione e al dialogo: “La situazione che sta attraversando il Paese in diverse regioni, in particolare nel comune di Llallagua, ci pone nuovamente di fronte a momenti di profonda costernazione e allarme nazionale. Nelle ultime ore è stata confermata la morte di alcuni nostri fratelli boliviani – si legge –. La Conferenza episcopale boliviana, profondamente addolorata, esprime il suo più sentito cordoglio alle famiglie che hanno perso i loro cari e si unisce in preghiera per le loro anime e per la pace nel nostro Paese”.
I vescovi esprimono “profonda preoccupazione per la piega che sta prendendo la crisi sociale e politica in Bolivia. La violenza non può e non deve diventare il meccanismo per risolvere le differenze, in questo senso, manifestiamo il nostro fermo rigetto di ogni forma di violenza. Il confronto non è mai la strada per risolvere i problemi, poiché genera una spirale di violenza che causa danni irreversibili, a partire dalla morte di persone. La vita è sacra e deve essere protetta in ogni momento, Dio ci chiederà conto di essa. Nessuna causa politica o sociale giustifica la perdita di vite umane. Condanniamo qualsiasi forma di violenza, da qualunque parte provenga. Le rivendicazioni sociali non devono sfociare in atti criminali e tanto meno si devono usare armi contro funzionari pubblici o civili: questo è inaccettabile”.
Quindi, l’urgente appello: “Ribadiamo che la soluzione ai conflitti sociali deve essere costruita attraverso spazi di dialogo e incontro, con responsabilità e sincera volontà politica. Esortiamo tutti gli attori politici, sociali, indigeni, contadini, vicini e autorità a mettere da parte le azioni violente e gli interessi particolari per cercare insieme una soluzione pacifica. È urgente “fermare questa spirale di odio e morte che porterà solo più dolore e divisione”.