“Cristo esce dal palcoscenico della storia per lasciare noi, uomini e donne ancora molto spaventati dalla storia e dalla sua complessità, diventare presenza viva di Dio in ogni epoca e in ogni luogo”. Così padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa Pontificia, nell’ultima predica di Quaresima in Aula Paolo VI ha commentato l’episodio dell’ascensione di Gesù al cielo. “Il maestro si allontana per condurre i discepoli oltre sé stessi, obbedendo al comando più importante: diventare pienamente umani, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. Una delle conseguenze dell’Ascensione, ha spiegato il frate cappuccino, è la “sinergia” tra il Signore e noi, sintetizzata nel mandato missionario di Gesù agli apostoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”. “Gli apostoli sono invitati ad andare verso gli altri non in quanto esseri umani, ma in quanto creature”, ha commentato Pasolini, secondo il quale “dopo la Risurrezione di Cristo e con la sua ascensione è iniziata nel cosmo e nella storia la nuova e definitiva creazione, in cui siamo invitati a ripetere l’atteggiamento di stupore e di ammirazione di Dio fin dal principio della sua creazione”. “Se accettiamo la sfida di andare dagli altri per annunciare la buona notizia agli altri come creature, dobbiamo anzitutto riconoscere che gli altri sono creature, ed è bello che ci siano”, ha detto il religioso: “Se guardiamo invece agli altri come essere umani, con i loro ruoli e identità, scivoliamo facilmente nella pretesa e nel giudizio. Subito ci aspettiamo delle cose, verifichiamo se la loro vita corrispondere alle aspettative che abbiamo verso di loro. Quando guardiamo un fiore, pensiamo semplicemente che sia bello: spesso, quando ci guardiamo tra di noi, non riusciamo ad avere gli stessi sentimenti”. Di qui l’importanza di “riconoscere la bellezza e l’importanza degli altri, per il fatto che ci siano”: “è il primo riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno ogni giorno per esistere. Essere riconosciuti per quello che si è, con le proprie luci e le proprie ombre”. “E’ con questa mitezza che Dio si congeda dalla storia”, ha sottolineato Pasolini: per la Chiesa, è un invito ad “avvicinarsi agli altri riconoscendo il loro cammino non come qualcosa da dover includere in una valutazione morale, a guardare con umiltà e rispetto la storia di ogni persona, tenendo presente che molti aspetti della vita umana restano ancora complessi, oscuri e difficili da comprendere”. “Portare il Vangelo fino ai confini della terra vuol dire portarlo fino ai confini del mistero dell’umanità”, ha spiegato il predicatore della Casa Pontificia: “Siamo andati nello spazio, ora ci attende la missione di andare in profondità nell’essere umano e del suo mistero, di inoltrarci con attenzione e rispetto nell’abisso di ogni condizione umana riconoscendone la complessità”. La sinergia tra noi e Dio, dunque, fa della vita “un passo a due, una danza, in cui noi siamo sulla terra ma Dio dal cielo accompagna tutti nostri passi e agisce insieme a noi, per un progetto di nuova creazione”.