Striscia di Gaza: “Jerusalem Voice for Justice”, Risoluzione Onu “priva di visione globale” anche se “non mancano aspetti positivi”

(Foto UN Photo/Eskinder Debebe)

La risoluzione 2803 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 17 novembre, basata su una bozza dell’amministrazione Usa, approvata da 13 Stati membri del Consiglio di sicurezza, con l’astensione di Russia e Cina, “ha il sapore del colonialismo tradizionale: l’amministrazione di Gaza da parte di stranieri, guidati dal presidente degli Stati Uniti. Ma l’aspetto più negativo della risoluzione è la mancanza di una visione globale”. È quanto si legge in una dichiarazione, diffusa oggi a Gerusalemme, da “Jerusalem Voice for Justice”, un gruppo ecumenico che promuove l’uguaglianza, la giustizia e la pace nel contesto del conflitto israelo-palestinese, concentrandosi in particolare sulla crisi umanitaria a Gaza e in Cisgiordania. Il gruppo comprende diversi leader cristiani e membri della comunità di Gerusalemme, tra cui il patriarca latino emerito, Michel Sabbah, il vescovo luterano emerito Munib Younan, l’arcivescovo greco-ortodosso, Attallah Hanna e il sacerdote gesuita, David Neuhaus. La risoluzione, pervenuta al Sir, “ignora le realtà della Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), lo smantellamento violento dei campi profughi e dei villaggi palestinesi, l’estrema violenza dell’esercito e della polizia israeliani, e in particolare dei vigilantes dei coloni ebrei, i continui ostacoli alla vita quotidiana dei palestinesi e i tentativi di cancellarne l’identità”. Nel complesso, spiega il gruppo, “la risoluzione adotta una prospettiva problematica: il problema è iniziato il 7 ottobre 2023, ignorando la vera genesi del conflitto”. Tuttavia, nel testo della Risoluzione e nel cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti del 4 ottobre 2025 “non mancano alcuni aspetti positivi: meno genocidio, meno omicidio, meno sfollamenti e meno smantellamento delle poche istituzioni palestinesi ancora esistenti”. Anche se, viene rimarcato dal Gruppo ecumenico, “nonostante il cessate il fuoco, la distruzione di Gaza e della sua popolazione è in corso” e ribadito che “il diritto di un popolo all’autodeterminazione non può essere condizionato, soprattutto da coloro che hanno impedito questa autodeterminazione per decenni. Inoltre, l’autodeterminazione inizia con un libero processo democratico, senza interferenze israeliane o statunitensi”. La via di uscita al conflitto sta, secondo il Gruppo ecumenico, nel “ripensare la situazione globale in Palestina/Israele. Sin dalla Dichiarazione Balfour britannica (1917), il discorso si è basato su una divisione tra ebrei e non ebrei, stabilendo la disuguaglianza che è emersa da allora. Il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 era in diretta continuità con il dominio coloniale britannico: l’istituzione forzata di uno stato ebraico etnocentrico. Gli ebrei sono legati a questa terra e non sono semplicemente coloni”. Tuttavia, viene ribadito nella Dichiarazione, “il loro legame con la terra non è esclusivo e non conferisce loro il diritto di espropriarla e sfollare, reprimere e occupare, distruggere e commettere genocidio. Lo smantellamento del sistema di etnocentrismo, discriminazione e occupazione – conclude il Gruppo ecumenico – deve mirare a integrare gli ebrei israeliani in una nuova realtà che si apre all’orizzonte: una società multiculturale e pluralista che garantisca uguaglianza, giustizia e pace a tutti coloro che vivono oggi in Palestina/Israele”.

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