Diocesi: mons. Brambilla (Novara), “abbiamo tanto bisogno di speranza. Il Giubileo ci renda uomini e donne nuovi, abitati da una ‘speranza viva’”

“Oggi abbiamo tanto bisogno di speranza: ci siamo costruiti un mondo che sembra minaccioso e ostile, che svuota i nostri sogni e paralizza le nostre azioni, riducendoci a vivere alla giornata. Soprattutto i giovani sono le vittime di questo clima senza l’orizzonte luminoso della speranza”. È partita da questa considerazione l’omelia pronunciata dal vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, per la festa patronale di san Gaudenzio.
Il presule ha cercato di rispondere a due domande: “Cosa possiamo sperare? Come dobbiamo sperare?”. Riguardo alla prima, mons. Brambilla ha sottolineato che la speranza “si colloca tra ‘desiderio’ e ‘volere’: il ‘desiderio’ – ha spiegato – dice una mancanza (nel derivare da sidus=stella: de-sidus), esprime ‘un aspettare dalle stelle’, denuncia la ‘perdita della costellazione che ci guida nel mare’, dice un ‘non sapersi orientare’. In tal modo, la speranza è sorretta dalla fiducia, talvolta può attendere solo ciò che appare, può persino sbagliare mèta, ma fin quando essa spera, punta su qualcosa che ha da venire, è in comunione con una certezza che la precede e le viene incontro”. “Per avere speranze – ha ammonito – bisogna essere nella speranza: ‘essere nella speranza’ significa riconoscere un senso che ci pervade e una comunione che ci abita, una presenza che ci ama. La speranza, dunque, è la fede distesa nel tempo (essere nella speranza), che si rende presente nelle speranze di ogni giorno (avere speranze)”. “Insegniamo ai figli – l’esortazione del vescovo – le azioni e le opere che anticipano il futuro: diciamo ai nostri adolescenti e giovani di osare, sperimentare, provare per trovare la loro strada. La speranza è avventura e rischio, è prova ed errore, è cercare un maestro e una guida che non leghi a sé, ma ti liberi per custodire il tuo sogno e per trovare il tuo cammino. La speranza è la virtù dei forti, è la postura dei nani che si mettono sulle spalle dei giganti del passato, per vedere meglio e oltre loro”.
Riguardo poi alla seconda domanda, mons. Brambilla ha evidenziato che “per sperare bisogna sognare in grande e agire nello sforzo di ogni giorno per costruire il bene qui e ora”. Il Giubileo – ha continuato – “dovrà essere l’anno della pace, cominciando dal basso nella vita di ogni giorno, per costringere i grandi a smettere di uccidere e distruggere, per ritrovare l’anima dell’Europa e dell’Occidente, che è la patria dei martiri e dei monaci, dei santi e dei navigatori, dei giganti del pensiero e della costruzione di un mondo aperto e democratico”. Il vescovo si è soffermato sull’importanza della “testimonianza personale e civile”, in famiglia, nella comunicazione, nelle relazioni: “L’anno del Giubileo – ha osservato – dovrebbe puntare sull’onestà, la laboriosità, la generosità nella vita personale e sociale”. Rispetto allo “stile della vita in speranza”, mons. Brambilla ha notato come “la ‘gentilezza’ del tratto, su cui anche la nostra città di Novara ha investito molto, deve accompagnarsi al rispetto per la dignità delle donne e degli uomini, riconosciuta davanti a Dio, e per una coscienza pura e trasparente”. “Il Giubileo di quest’anno – ha concluso – ci renda uomini e donne nuovi, abitati da una ‘speranza viva’. Ma che cos’è una speranza viva? È quella che ogni giorno fa prevalere la fiducia sul sospetto, la tenerezza sulla rigidità, la vicinanza sulla solitudine, l’interesse sul menefreghismo, la compassione sulla rigidità, la generosità sull’egoismo, l’accoglienza sull’esclusione, la fiducia nel prossimo piuttosto che la rivalità sfrenata, la vita semplice e operosa anziché che la ricchezza sfarzosa e ostentata. In una parola la ‘speranza viva’ è l’umile vittoria della vita sulla morte, perché l’abbiamo ricevuta in dono e non possiamo non regalarla agli altri. Questa è la divina leggerezza della vita in speranza!”.

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