Senegal: Cissokho (Y’en a marre): “non è un Paese per dittatori”. Attivista alla Dire: Sall era in piazza con noi, che disgusto

(DIRE – SIR) – “Non ce l’aspettavamo e siamo disgustati: il Senegal non è un regno; è una democrazia, che non appartiene a un uomo solo ma ai suoi 18 milioni di abitanti”. A parlare con l’agenzia Dire è Mouhamed Moriba Cissokho, attivista, già militante di Y’en a marre. Il nome di questo movimento politico e sociale, nato nel 2011, vuol dire “non ne possiamo più”. Ad animarlo, insieme con Cissokho, sono stati rapper, giornalisti, studenti, professori e operai. La sua prima prova fu la protesta contro la candidatura dell’allora presidente Abdoulaye Wade per un terzo mandato, nonostante la Costituzione lo vietasse. Ci furono cortei e anche disordini nella capitale Dakar e in altre città. Wade andò avanti ma fu sconfitto alle urne da Macky Sall, che da allora è capo dello Stato. E proprio di Sall si parla oggi con Cissokho. Nonostante il boicottaggio dei partiti di opposizione, ieri il parlamento del Senegal ha approvato il rinvio delle elezioni presidenziali: fissate in origine al 25 febbraio, sono ora in programma il 15 dicembre. La motivazione del posticipo, e della parallela proroga del mandato di Sall, è la necessità di verificare la validità delle sentenze del Consiglio costituzionale che hanno escluso dal voto due esponenti di spicco dell’opposizione: Ousmane Sonko, a capo del partito Patriotes africains du Senegal pour le travail, l’ethique et la fraternité (Pastef), e Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade. La decisione del rinvio è contestata. Ieri di fronte alla sede del parlamento ci sono stati scontri tra agenti e dimostranti. Nelle stesse ore, le connessioni internet da telefoni mobili sono state interrotte. “Questa è una decisione folle, che ci sorprende e allo stesso tempo ci disgusta” denuncia Cissokho, in prima fila con Y’en a marre almeno sino al 2021. “Sall sapeva che le elezioni non sarebbero andate bene e per questo ha puntato sul rinvio, con una scelta che non ha precedenti: un colpo di Stato costituzionale”. La tesi è che la proroga del mandato violi due articoli della Carta fondamentale. Non sono bastate a convincere i critici le ripetute dichiarazioni di Sall sul fatto che non si sarebbe comunque ricandidato, puntando sul primo ministro Amadou Ba. Secondo Cissokho, quello del presidente è un voltafaccia. “Era con noi a manifestare nel 2012, insieme alla coalizione della società civile Mouvement du 23 juin”, ricorda l’attivista, e diceva che non avrebbe mai permesso a un capo di Stato di restare in carica posticipando delle elezioni”. Questi sono giorni intensi. “Ci stiamo organizzando e nei prossimi due giorni mobiliteremo giovani, donne e anziani con tutti i mezzi” annuncia Cissokho. “Lo faremo perché pensiamo che un futuro di giustizia, democrazia e libertà per il Senegal lo potranno costruire solo i suoi 18 milioni di abitanti; non crediamo che l’Unione Europea o l’America vogliano o possano davvero aiutarci”. Cissokho aggiunge: “Il Senegal non appartiene a una persona sola, né a una minoranza, che magari ruba le nostre risorse e i nostri soldi”. A Dakar nelle ultime settimane la tensione è cresciuta in modo costante con l’avvicinarsi della data del 25 febbraio. Lo stop alla candidatura di Wade è stato motivato con il fatto che al momento della consegna dei suoi documenti il figlio dell’ex presidente, nato a Parigi da padre senegalese e madre francese, aveva ancora la doppia nazionalità. Una circostanza, questa, incompatibile con i requisiti fissati nella Costituzione. Non è bastato che, dopo aver presentato la propria candidatura, Wade confermasse di aver rinunciato alla cittadinanza francese. Differenti le ragioni di esclusione per Sonko, a capo di Pastef. La sua candidatura è stata ritenuta “irricevibile” in ragione di una condanna a sei mesi di carcere per “diffamazione e ingiurie pubbliche”. Le decisioni del Consiglio costituzionale erano sembrate aprire la via all’elezione di Amadou Ba, primo ministro designato da Sall come candidato della sua coalizione Benno Bokk Yakaar (Bby). Poi il rinvio del voto, e le proteste. (www.dire.it)

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