Nicaragua: lettera dai sacerdoti che vivono in clandestinità: “Il popolo delle catacombe è vivo. L’esilio non è sinonimo di libertà”

I religiosi e le religiose nicaraguensi in clandestinità (Renec) hanno pubblicato una lettera in cui si propongono di “continuare a essere fonte di coraggio, resistenza e incoraggiamento per il nostro Nicaragua sofferente”. Rivolgendosi al popolo di Dio del Nicaragua, i sacerdoti scrivono: “Siamo qui! Ancora circondati da uomini e donne – giovani e meno giovani – che cercano di fare quel poco che possiamo per vivere il Vangelo di Gesù Cristo in mezzo alle comunità in resistenza che si riuniscono in diverse zone del Nicaragua. Il popolo di Dio ‘delle catacombe’ è vivo e ogni giorno più forte”.
In questa breve lettera, proseguono, “vorremmo condividere con voi la nostra posizione su due recenti eventi: La cacciata dei vescovi Rolando Álvarez e Isidoro Mora insieme a 17 sacerdoti e seminaristi; e la conclusione della prima parte del cammino sinodale proposto da Papa Francesco nella Chiesa universale. La nostra voce si leva per affermare, con forza, che l’esilio non è sinonimo di libertà. Condividiamo il sollievo del popolo di Dio per la partenza dei nostri fratelli dall’ergastolo del regime, ma sosteniamo che la loro situazione si è aggiunta a quella di altri connazionali vittime di crimini contro l’umanità. Crediamo che queste brevi righe riflettano i sentimenti del popolo di Dio che vive in terra nicaraguense, auspichiamo che la speranza aperta dalla liberazione dei nostri 19 fratelli religiosi si traduca in una pronta guarigione per ciascuno di loro e che la loro voce – insieme a quella di altri fratelli e sorelle in esilio – possa continuare a essere fonte di coraggio, resistenza e incoraggiamento per il nostro sofferente Nicaragua”.
I sacerdoti intervengono anche sul recente Sinodo, ritenuto “in linea con la grande maggioranza del nostro Paese, che lotta per una nuova società in cui siamo tutti uguali, in cui non esiste alcuna forma di sfruttamento, in cui si rafforza il diritto al dissenso e in cui le decisioni importanti non sono nelle mani di una casta privilegiata di leader o di ‘persone illuminate’. Il destino del Nicaragua, ieri come oggi, appartiene esclusivamente al popolo nicaraguense. Ci dispiace che il nostro Paese, in questi anni di crisi, abbia perso tra il 10 e il 15% della sua popolazione a causa di assassinii selettivi, sparizioni forzate ed esilio. Nel frattempo, noi religiosi e religiose iniziamo questo 2024 con il coraggio e l’audacia che sperimentiamo nelle comunità cristiane di tutto il Nicaragua che, in mezzo alle avversità, continuano a resistere con la forza permanente del Vangelo di Gesù”.

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