Seconda Guerra mondiale: Fondazione Maximilian Kolbe, dall’11 al 16 agosto a Oswiecim/Auschwitz un seminario europeo sulle ferite ancora aperte

La Fondazione Maximilian Kolbe organizza per la 13ª volta un seminario europeo dall’11 al 16 agosto a Oświęcim/Auschwitz. Il focus del workshop, a cui prendono parte 30 rappresentanti di undici Paesi dell’Europa orientale e occidentale, è la questione dell’influenza e delle ferite ancora aperte, che provengono da Auschwitz e dalla Seconda Guerra mondiale, nonché la questione di come affrontare questa storia adeguatamente in questo precario presente. Sulla base delle esperienze delle diverse società europee, i partecipanti si scambieranno opinioni sulle prospettive di base del superamento della violenza e della riconciliazione e sulle difficoltà da mettere in luce su questo percorso. Il presidente del Consiglio della Fondazione Maximilian Kolbe, mons. Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberga, sottolinea: “In considerazione della guerra contro l’Ucraina, il workshop quest’anno è di particolare importanza. È importante, soprattutto ora, per quanto difficile sia rimanere in contatto e in solidarietà stare al fianco delle vittime. Infine, ma non meno importante, per noi è significativo dare il nostro contributo per preparare la pace anche durante la guerra”. Mons. Schick parteciperà al seminario e celebrerà l’Eucaristia ad Auschwitz il 14 agosto, anniversario della morte di San Massimiliano Kolbe. Al di là del caso specifico di Auschwitz, i colloqui hanno un significato esemplare per affrontare le esperienze di violenza e le loro conseguenze. Il workshop annuale contribuisce a rafforzare un discorso europeo volto alla guarigione e alla riconciliazione. Allo stesso tempo, gli incontri tra i partecipanti aiutano a formare una rete europea che si sostiene a vicenda nelle proprie attività. Sullo sfondo della guerra in Ucraina, diventa chiaro quanto sia importante costruire e mantenere relazioni di fiducia. Con l’invito al vescovo camerunense, mons. Joseph-Marie Ndi-Okalla, per la prima volta c’è anche un’importante prospettiva postcoloniale nel laboratorio.

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