Migranti: card. Reina (Roma), “se incontra l’indifferenza la vita si trasforma in morte”

Card. Reina alla preghiera "Morire di Speranza" - 18 giugno 2025 (Foto S. Egidio)

“Un appello alle coscienze, alle coscienze di tutti” la preghiera  di ieri sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per ricordare le oltre 70mila vittime migranti – dal 1990 ad oggi – nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte verso l’Europa. Lo ha detto il card. Baldassare Reina, vicario del Papa per la diocesi di Roma, presiedendo la veglia promossa dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alle altre associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione come il Centro Astalli, la Caritas Italiana, la Federazione Chiese Evangeliche in Italia, le Acli, lo Scalabrini International Migration Network, la Fondazione Migrantes, la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’Acse. Negli ultimi cinque anni, tra coloro che sono morti e dispersi, oltre il 38% sono donne e bambini. “Se sono in mare o stanno attraversando la rotta balcanica, ci sarà qualcuno che dovrà pensare a questo problema!”, ha sottolineato il porporato: “il fratello diventa un problema, il suo bisogno di vita diventa un problema, il suo bisogno di futuro diventa un problema, il suo grido di speranza diventa un problema. Ciò che è vita diventa un problema e, se incontra l’indifferenza di tanti, la vita si trasforma in morte”. E “noi siamo qui questa sera per ricordare i nostri fratelli, che sono morti attraverso le varie rotte, dall’Africa piuttosto che la rotta balcanica, altri viaggi di speranza o disperati. Sono morti perché cercavano la vita, perché avevano bisogno di futuro, di speranza. Avevano sognato, per loro stessi e per le loro famiglie qualcosa di diverso, che non fosse la carestia, che non fosse una guerra tribale, che non fosse la mancanza di lavoro. Siamo qui questa sera per ricordarli, diverse sensibilità, fedi, religioni, confessioni, ma uniti da questo grido di dolore. Uniti da questo incessante, ininterrotto grido e bisogno di vita, al quale non dobbiamo essere indifferenti. Non dobbiamo e non possiamo, pena vanificare ogni forma di esperienza religiosa e ogni forma di autentica umanità”. Questa preghiera è – quindi – “un appello alle coscienze, perché l’altro sia rispettato, l’altro sia amato, l’altro sia accolto, all’altro sia dato diritto di cittadinanza, gli sia data la possibilità di futuro. Appello alle coscienze, a noi stessi, perché non siamo migliori di altri. E attraverso di noi, se davvero crediamo a questo messaggio eterno, attraverso di noi a tanti altri. Per creare una mentalità, una cultura dell’accoglienza, dell’integrazione, del rispetto”.

(Foto S. Egidio)

Da qui l’invito a non pregare solo per i morti ma anche per tutti coloro, e potrebbe capitare anche a noi, le cui coscienze si possono addormentare. Preghiamo perché la nostra umanità non sia miope, non si rinchiuda dentro certi confini, ma sia una grande comunità, una grande famiglia, in cui ci si fa carico delle sofferenze di altri. Perché sappiamo che quelle sofferenze non sono soltanto di altri, ma forse qualche responsabilità ce l’abbiamo un po’ tutti. Allora ci facciamo carico delle gioie, dei dolori, delle sofferenze gli uni degli altri”. Sull’altare una croce realizzata con i legni dei barconi mentre durante la preghiera sono stati ricordati alcuni nomi e storie di chi a parso la vita e in loro memoria sono state acese delle candele. Altre veglie di preghiera sono previste, in questi giorni, in diverse città italiane ed europee.

 

 

 

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