La Conferenza episcopale della Colombia, rispetto a denunce di abusi su minori e persone vulnerabili, ribadisce che “la trasparenza e l’accesso alle informazioni sono fondamentali per la tutela di questi diritti, sempre nel quadro del rispetto della dignità umana, della libertà religiosa, della legalità, dell’onore, della non discriminazione, della non stereotipizzazione e della presunzione di innocenza”. Una presa di posizione che fa seguito al comunicato 19 della Corte costituzionale colombiana sulla sentenza SU-184/25, relativa ai “diritti di petizione e informazione dei giornalisti”. Scrivono i vescovi: “Quando sarà reso pubblico, sarà studiato con attenzione e con il rispetto che meritano le decisioni della massima Corte costituzionale del nostro Paese. Nel frattempo, il Consiglio ratifica il suo impegno di solidarietà con le vittime e con la ricerca della verità, della giustizia e della protezione integrale dei diritti dei bambini e degli adolescenti”.
Più in dettaglio, per quanto riguarda la consegna di “informazioni sui sacerdoti o sul clero che hanno svolto attività pastorale e, in generale, su coloro che hanno avuto rapporti con la società”, preoccupa il fatto che, secondo le opinioni dissenzienti espresse nello stesso comunicato 19, la “pretesa è sproporzionata” per la copertura temporale e perché “la richiesta di consegnare il curriculum vitae di tutti i sacerdoti vivi o defunti appartenenti alle diocesi, alle arcidiocesi e alle istituzioni delle diocesi”, arcidiocesi e istituzioni della Chiesa cattolica nel corso della sua storia, e non solo di quelli che sono stati o sono attualmente indagati per presunti atti di abuso sessuale su minori o per condanne per lo stesso motivo, “si basa su una presunzione generalizzata di malafede contraria a quella di innocenza, costituendo uno stereotipo che implica di per sé un atto di discriminazione”.