Perù: vescovi sul caso di undicenne incinta dopo stupro, “proteggere la vita e i più deboli”

“Ricordiamo che in una gravidanza per stupro ci sono tre persone: lo stupratore, la vittima e un innocente. In questo caso un innocente è stato condannato a morte, la vittima è stata esposta a un danno maggiore e il colpevole è stato liberato. Non si può giustificare un male, in questo caso un aborto diretto, per ottenere presumibilmente il benessere di un’altra persona”.
Lo afferma la Conferenza episcopale peruviana, che in una nota prende posizione e invita alla riflessione sul caso di Mila, la bambina di 11 anni rimasta incinta dopo essere stata violentata dal patrigno. Il caso ha suscitato forte impressione nella società peruviana e due opposti pareri tra due commissioni mediche: inizialmente la Commissione regionale di Loreto aveva negato la possibilità di aborto terapeutico; successivamente, la Commissione di Lima ha rovesciato la decisione, lo scorso 12 agosto. Va anche segnalato che l’uomo accusato del reato è stato rilasciato.
Per i vescovi, la vita è un diritto assoluto e inalienabile, un dono divino che Dio ci chiede di salvaguardare come recita il quinto comandamento: “Non uccidere”. Di conseguenza, la Chiesa peruviana avverte che è obbligo della società e del Ministero della Salute proteggere la vita del bambino e del nascituro. “L’insegnamento costante della Chiesa, in questi casi, è sempre il diritto di salvaguardare la vita di entrambi”, si legge nella nota, che, oltre al caso in questione, fa riferimento anche ai progetti di legge presentati negli ultimi anni in Parlamento, sempre senza esito, per depenalizzare l’aborto in alcuni casi, tra cui quello di stupro verso la gestante.

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