L’El Salvador non può essere trasformato “in una grande prigione internazionale”, una sorta di nuova Guantanamo. È l’appello alle autorità della Conferenza episcopale dell’El Salvador (Cedes), contenuto in un messaggio che chiede anche la fine dello stato di emergenza.
I vescovi hanno chiesto alle autorità salvadoregne di “non promuovere le carceri del nostro Paese per le vittime delle politiche anti-immigrazione delle potenze straniere”.
Quanto allo stato d’emergenza, “anche se in un altro momento era necessario per frenare la violenza”, tre anni dopo non lo è più, dato la criminalità è drasticamente ridotta e ci sono libertà che sono compresse. Ora “si tratta di permettere al popolo di esercitare la propria libertà senza alcuna pressione”. I vescovi hanno chiesto al governo di “riesaminare i casi con grande obiettività”, affinché gli innocenti siano liberati il più presto possibile e “i difensori dei diritti umani non siano perseguitati”.
La lettera pastorale affronta anche il delicato tema della situazione economica del Paese, evidenziata dall’alto tasso di disoccupazione aggravato da migliaia di licenziamenti avvenuti negli ultimi mesi. Di fronte a questa realtà e a beneficio del Paese, i presuli chiedono a gran voce la creazione e l’attuazione di una legge sulla sicurezza alimentare e di sussidi a favore del paniere di base delle famiglie, misure urgenti che, secondo loro, potrebbero salvaguardare la dignità delle comunità più povere.
Infine, nel loro messaggio, i vescovi ribadiscono che la loro intenzione non è quella di scontrarsi con il Governo né di rispondere a interessi ideologici. La loro motivazione, assicurano, è sinceramente pastorale: essere la voce di chi non ha voce, specialmente i più poveri, i disoccupati e gli sfollati. “È necessario ascoltare la voce dei più vulnerabili”, concludono, e offrire loro alternative reali per una vita dignitosa.