“Sono in Palestina in Cisgiordania con Fondazione Soleterre dove oltre il 70% delle strutture sanitarie è danneggiato o funziona a fatica, tra carenza di farmaci, acqua potabile scarsa e personale medico sotto pressione. L’occupazione israeliana blocca la vita anche fuori Gaza. Nei checkpoint della Cisgiordania, ambulanze palestinesi si fermano, i pazienti vengono trasferiti da un veicolo all’altro, perdendo tempo prezioso. Serve un’azione umanitaria urgente e una presa di responsabilità politica globale. Non lasciamo sola la Palestina. Fino a quando la salute sarà un privilegio negato, nessuna pace sarà possibile. La popolazione palestinese subisce una violenza strutturale che uccide lentamente, una situazione che la cronaca spesso ignora. In particolare, l’accesso alle cure mediche è un diritto umanitario irrevocabile per ogni essere umano ed è invece gravemente limitato dall’occupazione, con conseguenze drammatiche sulla salute pubblica, sulle persone e sui bambini”: lo ha dichiarato Damiano Rizzi, presidente della Fondazione Soleterre, che attualmente si trova in Cisgiordania per seguire lo sviluppo delle attività umanitarie di Soleterre in corso nel territorio.
Commentando poi l’episodio accaduto ieri degli spari dell’esercito israeliano a Jenin vicino a un cancello del campo profughi, Rizzi ha poi aggiunto: “Purtroppo la situazione è veramente assurda: arrivare a sparare a una delegazione composta da diplomatici dell’Unione europea ha dell’incredibile perché poi si riducono e impediscono gli spostamenti dei corpi diplomatici. È molto chiaro che anche in Cisgiordania non si vuole che le persone si muovano, i palestinesi non si muovono più né escono dalle loro città perché è troppo pericoloso, sia perché sparano a vista sulla popolazione come nel caso di Jenin, sia perché poi aprono e chiudono i checkpoint senza considerare minimamente le regole”. Rizzi ha sottolineato: “Le persone non escono più di casa per la paura e anche perché, se escono dalla loro città programmando di andare in un’altra città e poi di dover ritornare, se chiudono i checkpoint rimangono bloccati, quindi c’è una costante volontà di tenere le persone sotto occupazione nel silenzio più generale, dove anche questo silenzio diventa una forma di occupazione e impedimento della libertà della vita. Per accedere agli ospedali ho atteso ore sotto il sole, io che ho un passaporto italiano e che quindi posso muovermi liberamente. I palestinesi invece non si possono muovere da un’area all’altra semplicemente perché in alcuni territori (che tra l’altro sono la loro terra) ci sono checkpoint che li bloccano e fermano e li rispediscono indietro. È davvero una situazione inimmaginabile anche perché viene poco raccontata nella vita quotidiana. Ecco è proprio nella vita quotidiana che c’è una forma di occupazione totale”.