“Possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta”. E’ il commento finale del Papa alla parabola del padre e dei due figli, narrata nel Vangelo di Luca. Nel testo da lui preparato per la catechesi odierna, Francesco cita il famoso dipinto di Rembrandt, che “ha rappresentato in maniera meravigliosa il ritorno del figlio prodigo: “Mi colpiscono soprattutto due particolari: la testa del giovane è rasata, come quella di un penitente, ma sembra anche la testa di un bambino, perché questo figlio sta nascendo di nuovo. E poi le mani del padre: una maschile e l’altra femminile, per descrivere la forza e la tenerezza nell’abbraccio del perdono”. “Ma è il figlio maggiore che rappresenta coloro per i quali la parabola viene raccontata”, commenta il Papa: “è il figlio che è sempre rimasto a casa con il padre, eppure era distante da lui, distante nel cuore. Questo figlio forse avrebbe voluto andarsene anche lui, ma per timore o per dovere è rimasto lì, in quella relazione”. “Quando però ti adatti contro voglia, cominci a covare rabbia dentro di te, e prima o poi questa rabbia esplode”, il monito del Papa, secondo il quale, paradossalmente, “è proprio il figlio maggiore che alla fine rischia di rimanere fuori di casa, perché non condivide la gioia del padre. Il padre esce anche incontro a lui. Non lo rimprovera e non lo richiama al dovere. Vuole solo che senta il suo amore. Lo invita a entrare e lascia la porta aperta. Quella porta rimane aperta anche per noi. È questo, infatti, il motivo della speranza: possiamo sperare perché sappiamo che il Padre ci aspetta, ci vede da lontano, e lascia sempre la porta aperta”.