“Il nostro impegno nelle missioni di pace è naturalmente coerente con la scelta multilateralista della nostra politica estera nella convinzione che le Nazioni Unite, grazie alla loro vocazione universale, svolgano un insostituibile ruolo a sostegno della stabilizzazione di numerose aree di crisi. L’Italia è il primo fornitore, in termini di personale militare e di polizia altamente qualificato, tra i Paesi occidentali e dell’Unione europea alle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite”. Lo racconta in un’intervista pubblicata su Clarus, il periodico on line della diocesi di Alife-Caiazzo, e realizzata da Annamaria Gregorio, direttore dell’Ufficio missionario della diocesi di Alife-Caiazzo, il tenente colonnello dell’esercito Francesco Zitiello a capo delle forze armate italiane presenti in Somalia per la missione di pace Nazioni Unite.
L’Italia, ricorda il tenente colonello, è “il settimo contributore al bilancio del peacekeeping ONU. La nostra partecipazione alle missioni è particolarmente apprezzata e rappresenta un vero e proprio modello, soprattutto grazie alla capacità di dialogo dei nostri contingenti con le popolazioni locali e alla complementarietà dimostrata tra dimensione civile e militare nelle operazioni di stabilizzazione e mantenimento della pace”.
Zitiello offre un identikit del soldato italiano: “È cordiale, comunicativo, collaborativo e non ha problemi ad interagire con persone di culture ed usanze diverse dalle proprie: una disponibilità all’incontro ed un’apertura che non inficiano minimamente l’orgoglio per la propria identità nazionale, ben presente nel Contingente Italiano e nel simbolo che più di ogni altro ne connota il senso d’appartenenza: la bandiera, inossidabile indicatore di uno stile tutto italiano di vivere ed interpretare la militarietà”.
Nella visione del militare italiano, “ritorno alla pace” significa innanzitutto “un reale miglioramento delle condizioni di vita di coloro che sono le vittime più deboli dei conflitti, soprattutto donne, bambini, anziani e malati. Se gli obiettivi della missione sono key factors, ciò che distingue il militare italiano è, poi, l’impegno fattivo nell’opera di ricostruzione e di protezione civile, l’assistenza sanitaria prestata alla popolazione a titolo gratuito: i soldati italiani sanno riconoscere dove si nasconde l’autore della minaccia e sanno agire con forza per neutralizzarla, ma sempre nel pieno rispetto e nella salvaguardia della popolazione locale”.
Il rapporto che i militari italiani instaurano, ad esempio, con i bambini “va ben oltre il dovere istituzionale dei compiti previsti dalla missione: cercano di dare ai bambini un conforto che non è solo materiale, ma anche e soprattutto affettivo e psicologico. Numerose sono state le occasioni nelle quali si sono visti soldati italiani con bambini in braccio: si tratta il più delle volte di bambini soli, oppure in compagnia delle madri o di uomini troppo anziani che non possono essere i loro padri naturali”.
I soldati italiani a volte, spiega il tenente colonello, “sopperiscono questa mancanza; svolgono per pochi minuti questo ruolo paterno, donando ai bambini un momento di serenità, permettendo loro di sorridere. Il rapporto con i bambini è un compito istituzionalmente non richiesto, che i nostri ragazzi svolgono con trasporto e volentieri. I bambini non hanno colpa, sono solo le vittime della guerra: le missioni di pace servono anche ad alleviare le sofferenze di queste vittime innocenti”.