Striscia di Gaza: appello di 13 Ong, “risoluzioni Onu ignorate, il tempo per proteggere i civili e impedire atrocità a Rafah sta scadendo”

Trascorsa una settimana dall’approvazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva un immediato cessate il fuoco e giorni dopo che la Corte di giustizia internazionale ha emesso ulteriori misure cautelari nei confronti di Israele, 13 Ong umanitarie e per i diritti umani (tra cui Save the Children, International Federation for Human Rights, Amnesty International, Doctors of the World/Médecins du Monde France, Spain and Switzerland, ActionAid International, Oxfam International, Norwegian Refugee Council) hanno sollecitato gli Stati ad agire urgentemente per ottenere l’applicazione dell’uno e delle altre e impedire crimini di atrocità a Rafah. La scorsa settimana, il governo israeliano ha annunciato che intende espandere le operazioni militari a Rafah non tenendo conto della risoluzione del Consiglio di sicurezza, giuridicamente vincolante, che chiedeva un immediato cessate il fuoco. Negli ultimi giorni, quell’annuncio si è materializzato, con bombardamenti su Rafah che il 26 e il 27 marzo hanno ucciso almeno 31 persone, tra le quali 14 bambini. La programmata incursione terrestre a Rafah promette di decimare vite e assistenza salvavita per oltre un milione e 300.000 civili, tra cui almeno 610.000 bambini. “Non c’è un piano d’evacuazione fattibile e non ci sono condizioni tali da proteggere i civili in caso d’incursione terrestre – ricordano le organizzazioni non governative –. Per rispettare il divieto assoluto di trasferimenti forzati e deportazione di civili, contenuto nel diritto internazionale umanitario, Israele è obbligato a ‘prendere tutte le misure possibili’ per fornire ai civili evacuati le necessità essenziali per la loro sopravvivenza e per garantire loro un ritorno in sicurezza e in dignità alla fine delle ostilità. Queste misure comprendono la fornitura adeguata di riparo e protezione, acqua, servizi igienico-sanitari, cure mediche e cibo. A oggi, non esiste alcun luogo del genere, all’interno o all’esterno della Striscia di Gaza in cui ciò possa essere assicurato. I bombardamenti israeliani e sei mesi di ostilità hanno danneggiato o distrutto oltre il 60 per cento delle unità abitative e hanno devastato la maggior parte delle infrastrutture nel nord e al centro della Striscia di Gaza”.
“A Gaza non c’è alcun luogo sicuro per la popolazione civile – sottolineano –. Le forze israeliane hanno ripetutamente attaccato luoghi che avevano precedentemente dichiarato ‘sicuri’. I loro attacchi aerei sulla zona cosiddetta ‘sicura’ di al-Mawasi e nei suoi dintorni hanno ucciso almeno 28 persone. In precedenza, le forze israeliane avevano occupato la parte settentrionale di quella zona”. “Operatori umanitari sono stati uccisi, convogli umanitari sono stati attaccati, rifugi e ospedali che avevano il sostegno della comunità umanitaria sono stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti israeliani”, denunciano. “Nella Striscia di Gaza non c’è alcun luogo in cui vi siano assistenza e servizi sufficienti per assicurare la sopravvivenza della popolazione civile. Nella stessa Rafah i servizi e le infrastrutture essenziali – ospedali, forni, strutture idriche e igieniche – stanno funzionando solo in parte. Il centro e il nord della Striscia di Gaza sono stati decimati”. Le 13 Ong chiedono alla comunità internazionale di “adottare misure urgenti per assicurare l’immediata attuazione di un cessate il fuoco permanente ed esplorare tutte le soluzioni possibili per proteggere i civili, in linea coi loro obblighi di diritto internazionale: ad esempio, interrompendo immediatamente la fornitura di armi, componenti e munizioni”.

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