“L’irregolarità non è solo la conseguenza di politiche che chiudono porte invece di aprirle. È anche il frutto di non-scelte nella gestione dei flussi migratori”. Lo ha detto oggi monsignor Carlo Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, aprendo la presentazione a Roma del XXXIV Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes, quest’anno dedicato ai giovani, soprattutto quelli con background migratorio. “Non dobbiamo illuderci che la soluzione sia ‘ridurre la presenza straniera’: la vera sfida è accompagnare questo fenomeno, promuovendo legalità, formazione, dignità del lavoro, così che le nostre necessità diventino una opportunità di integrazione stabile”, ha affermato. Il paradosso che il Rapporto fotografa è che, “mentre il loro lavoro sostiene il nostro Paese, i cittadini stranieri vivono in condizioni di forte precarietà sociale – ha osservato -: una persona su tre tra loro vive in povertà assoluta; molti non hanno accesso a un’abitazione dignitosa, come dimostra la nostra indagine sulle difficoltà abitative; troppo spesso affrontano discriminazioni e barriere che ostacolano l’inclusione, nei vari contesti partecipativi/sociali”.
Riguardo ai giovani, “sono italiani di fatto, ma non di diritto, perché privi della cittadinanza formale”. Eppure, nonostante siano motore di speranza, “vediamo crescere fenomeni di disagio, esclusione, devianza”. “Quando la società non offre ascolto e opportunità, aumenta il rischio che questi ragazzi cadano nella marginalità, che la rabbia si trasformi in conflitto – ha precisato -. È una sfida che riguarda tutti: famiglia, scuola, comunità, istituzioni. Dobbiamo imparare a vederli ed accompagnarli nei contesti sociali ed educativi non come un problema, ma come una risorsa, e a riconoscere il loro diritto di partecipare pienamente alla vita sociale e civile”. In questo, “lo sport può essere uno strumento straordinario: crea ponti, abbatte barriere, genera appartenenza. Così come la scuola e l’università, luoghi fondamentali per la costruzione di una società coesa e plurale”. Il presidente di Caritas italiana ha anche messo in evidenza le responsabilità della comunicazione: “Oggi, purtroppo, la narrazione pubblica sull’immigrazione è spesso distorta, dominata da stereotipi e discorsi d’odio.
Sui social, l’hate speech colpisce in modo particolare le donne e le persone straniere, spesso in una combinazione di discriminazioni multiple.
Abbiamo bisogno di una comunicazione nuova, che dia voce ai giovani, alle comunità plurali, che racconti la realtà invece di alimentare paure”.