
No a bruciare le tappe assumendo in modo affrettato decisioni drastiche. Bambini e ragazzi alle prese con disforia di genere hanno bisogno di un approccio prudente fatto di ascolto sensibile e non giudicante, di una lunga e paziente fase di accompagnamento e supporto in cui coinvolgere anche le famiglie. In un webinar Stefano Vicari, professore di neuropsichiatria infantile alla Facoltà di medicina dell’Università Cattolica di Roma e primario Uoc di neuropsichiatria infantile dell’Irccs Ospedale pediatrico Bambino Gesù, e Maria Pontillo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e dirigente psicologo Uoc neuropsichiatria infantile presso il medesimo ospedale, fanno chiarezza rispondendo alle domande di genitori e insegnanti.
“Vivere questa condizione può rendere vulnerabili e sofferenti, causando difficoltà in famiglia e nei rapporti personali”, esordisce Vicari. Il contatto con un corpo che non si sente proprio e che nell’adolescenza accentua ulteriormente i caratteri del sesso in cui non ci si riconosce può generare “sintomi di ansia e depressione e, in alcuni, ideazione suicidaria”, aggiunge Pontillo. Che fare, allora? “L’atteggiamento che raccomanderei agli insegnanti (ma anche ai genitori a casa) – risponde Vicari – è di ascolto e presenza di fronte a ragazzi/e che non sempre arrivano ad una chiara consapevolezza su ciò che vogliono, attraversano fasi di grande confusione senza sapere esattamente chi sono. In questo percorso noi adulti non dobbiamo né minimizzare né drammatizzare, ma garantire attenzione, essere sensibili nell’ascolto e non giudicanti. Devono sentirsi accolti ed essere sicuri che non ci scandalizzeremo di nulla”. E per evitare che questi ragazzi vengano bullizzati dal gruppo dei pari, Pontillo assicura che “un’educazione emotiva all’apertura, all’empatia e all’accoglienza dell’altro senza pregiudizi in famiglia e a scuola può sicuramente proteggere da percorsi di vittimizzazione”.