Gaza: Oxfam, “2 milioni di persone rinchiuse in meno del 20% del territorio”. Appello alla comunità internazionale

(Foto AFP/SIR)

Assieme al brutale attacco in corso a Gaza, Israele sta utilizzando una campagna sistematica di sfollamento per rinchiudere oltre 2 milioni di civili in 5 aree costiere sovraffollate e prive di qualsiasi servizio, che costituiscono meno del 20% del territorio della Striscia. Un elemento che sommato all’uso della fame come arma di guerra, rivela la strategia di occupare completamente Gaza, non di neutralizzare specifici obiettivi militari”. È l’allarme lanciato oggi da Oxfam, a oltre 600 giorni dall’inizio del conflitto. Una nuova analisi di Oxfam rivela infatti come dalla rottura del cessate il fuoco lo scorso 18 marzo, Israele abbia emesso oltre 30 ordini di sfollamento della popolazione, quasi uno ogni due giorni, che hanno coinvolto oltre 600 mila persone, anche più volte. Le evacuazioni forzate, per Oxfam, hanno interessato 68 aree abitate su 79, che se sommate alle zone militari israeliane inaccessibili, coprono un’estensione pari all’80% di Gaza. “Questa situazione sta rendendo praticamente impossibile alla popolazione trovare un rifugio sicuro –  spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia –. E’ evidente come il piano di Israele non sia semplicemente neutralizzare una minaccia, ma attuare un completo sfollamento della popolazione, e questo è un crimine di guerra. Per oltre 600 giorni, Israele ha dichiarato di voler colpire esclusivamente Hamas, mentre ogni giorno venivano compiute uccisioni di massa di civili innocenti. Non si tratta di un’operazione anti-terroristica, come sostiene Israele, quanto del sistematico internamento in enclave sempre più ristrette di un intero popolo, tenuto costantemente sotto minaccia”.  Nel frattempo, aggiunge l’organizzazione umanitaria, “Israele ha esteso la sua presenza militare lungo cinque cosiddetti ‘corridoi di sicurezza’ – Filadelfia, Murag, Kisufim, Netzarim e Mefalsim – che dividono Gaza in cinque zone isolate l’una dall’altra, separando il nord dal sud e limitando ulteriormente le possibilità di spostamento della popolazione”.
A questo si aggiunge “quanto già dichiarato apertamente dalle autorità israeliane per la distribuzione degli aiuti alimentari, che sta avvenendo solo all’interno di hub allestiti in aree recintate e presidiate all’esterno dall’Esercito di Israele (Idf) e internamente da contractors privati della sicurezza”. “Questa proposta trasformerà la popolazione civile in prigionieri e di fatto consoliderà l’occupazione militare. – aggiunge Pezzati- È una prospettiva terrificante e del tutto contraria a qualsiasi principio umanitario”. Solo tra il 15 al 20 maggio, oltre 170.000 persone sono state sfollate dalle autorità israeliane. Il 20 maggio è stata ordinata l’evacuazione da un’area di ben 34,9 km² tra Beit Lahiya e Jabalia, che copre circa il 10% del territorio di Gaza. “In qualsiasi altro conflitto, i civili avrebbero a disposizione vie di fuga verso Paesi vicini – continua Pezzati- In questo caso invece la popolazione è completamente in trappola e viene spinta sempre di più verso la costa. È una cosa disumana. A Gaza non esistono aree sicure per gli sfollati. Quelle designate da Israele sono campi profughi polverosi e sovraffollati che non offrono nessuna protezione reale dai bombardamenti e sono privi di tutto: non c’è acqua potabile, non ci sono servizi igienico-sanitari, non c’è cibo”.
Oxfam lancia un appello alla comunità internazionale, in vista della conferenza di New York sulla Soluzione dei 2 Stati: “I Governi occidentali devono andare oltre le mere dichiarazioni di intenti, che li rendono di fatto complici, ed esercitare una pressione reale su Israele affinché interrompa l’assedio in corso e qualsiasi progetto di annessione di Gaza o della Cisgiordania. Lanciamo un appello urgente ai leader mondiali perché si arrivi ad una soluzione giusta prima della Conferenza di Alto Livello che si terrà a New York a giugno, promossa da Francia e Arabia Saudita, a cui prenderà parte anche l’Italia. In cui si discuterà della soluzione dei due stati. La posta in gioco non è solo il futuro della Palestina, ma anche l’integrità e la credibilità di qualsiasi Paese che dichiara di sostenere e difendere il diritto internazionale”.

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