Migrazioni: incontro a Catania Ccee. Colloca (sociologo), “erigere muri è tornato al centro di molti governi ma sono l’icona di una sconfitta”

“Nella società contemporanea l’argomento di erigere muri è tornato al centro di molti governi occidentali (e non). Basti pensare al progetto dell’amministrazione Trump per dividere il confine tra Stati Uniti e Messico con l’intento di fermare l’inarrestabile flusso di migranti provenienti dal Sud America. Il muro è, invece, l’icona di una sconfitta e di una rottura. Le barriere erette per consacrare le differenze dimostrano l’incapacità umana di lavorare per una società in cui tutti gli attori siano coinvolti e rispettati”. Con queste parole del sociologo Carlo Colloca, si è aperto a Catania l’incontro della Sezione per le Migrazioni del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) che si conclude oggi. L’evento, incentrato sul tema “Giubileo e migrazioni: camminare insieme nella speranza”, ha riunito delegati delle Conferenze episcopali e studiosi per analizzare le sfide della mobilità umana e rafforzare la tutela delle persone più vulnerabili.
Nel suo intervento, Colloca che è docente docente di Sociologia urbana presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, ha passato in rassegna le varie “gestioni” di migranti e lavoratori stranieri messe in atto dai governi europei e non: dal “dispositivo banlieue” in Francia, ai “meccanismi di delimitazione e sorveglianza dei confini che i Paesi dell’Europa del Mediterraneo mettono in atto: si pensi ai casi delle enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco e al sistema dei campi dove si concentrano i migranti richiedenti asilo e non, fra dinamiche formali e informali, ovvero i Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo) o i Cas (Centri di accoglienza straordinaria), oltre che tendopoli quali Calais (detta La Giungla)”. Si tratta di “spazi artificialmente prodotti”, che “avrebbero il ruolo, secondo quanti li predispongono, di limitare, in nome della sicurezza sociale, rischi quali epidemie, crimini, rivolte” e che “hanno nella paura l’elemento perturbatore che incide sull’organizzazione dei luoghi”. Per reggere, “lo straniero immigrato è sovente rappresentato come violento, pericoloso e pronto a sfruttare le politiche sociali i cui benefici dovrebbero essere soltanto a vantaggio della tribù autoctona”.
Il sociologo nelle conclusioni traccia una tendenza sempre più comune: “Mentre si tengono a distanza gli immigrati in zone secondarie e periferiche, gli autoctoni si auto-segregano in arcipelaghi composti da isole iper-protette e collegate fra loro. Si tende a frammentare, a disconnettere quella parte della società considerata una minaccia (attraverso quartieri-ghetto e centri di accoglienza), tracciando una linea di confine che impedisca l’espansione di queste aree di disagio e di povertà per evitare che i ‘due mondi’ si incontrino”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Italia