“Anche se siamo un piccolo resto, possiamo fare la differenza”: con queste parole il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, si è rivolto ai giovani cattolici, provenienti da oltre 9 parrocchie della Galilea e di Gerusalemme, che si sono ritrovati il 18 ottobre scorso nel Santuario di Nostra Signora a Deir Rafat, a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme, per un incontro promosso dal Vicariato di San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica e dal Segretariato Generale per i Giovani in Galilea, sul tema “Sii felice”. Nella sua omelia, riportata dal Patriarcato, il cardinale ha parlato dell’unità come “vocazione centrale” della Chiesa in Terra Santa, soprattutto in questi tempi segnati da divisione e sofferenza. “Il vostro incontro odierno – ha detto – sebbene pianificato da tempo e ritardato dalla guerra, è l’incarnazione della nostra vocazione diocesana: l’unità in Gesù Cristo. Grazie a Lui, possiamo superare le nostre differenze e diversità e trovare un terreno comune, non solo nella nostra umanità, ma nella nostra fede. Ognuno di voi – ha ricordato il card. Pizzaballa – vive questa difficoltà nel proprio contesto sociale, politico e religioso. Eppure, grazie a Gesù Cristo, manteniamo vivo questo desiderio di unità. La fede cristiana è uno stile di vita, un modo di essere. Non si tratta solo di ciò che facciamo, ma di come lo facciamo, di come esprimiamo ciò che abbiamo nel cuore”. Il Patriarca ha poi riflettuto sul significato della Provvidenza: “Per coloro che credono, non siamo qui in questa terra per caso, ma per provvidenza. Gesù vuole che la Sua comunità, la Sua Chiesa, mostri cosa significa appartenergli. Possiamo incontrare difficoltà, ma poiché abbiamo ricevuto l’amore di Dio, non possiamo tenerlo per noi stessi. L’amore fiorisce solo quando è donato gratuitamente agli altri, quando l’altro diventa importante per me quanto lo sono io per me stesso”. E commentando le Beatitudini, ha aggiunto: “Felicità, alla luce delle Beatitudini, significa più che essere beati: significa che sono felici i poveri in spirito, i miti, i perseguitati, coloro che lavorano per la pace. Sono felici non perché vedono i risultati – il più delle volte, noi non li vediamo – ma perché danno agli altri ciò che hanno ricevuto. Quando condividiamo ciò che abbiamo ricevuto da Dio, la felicità diventa completa. La bontà diventa meravigliosa quando è condivisa”. Da qui l’esortazione ai giovani a condividere la loro sofferenza con gli altri e a perseverare nella fede, “a rimanere saldi. Quante volte abbiamo chiesto a Dio: ‘Fino a quando?’ Mantenete aperto il canale di comunicazione attraverso la preghiera, anche quando non capite. A volte non capiamo cosa stia facendo Dio, ma ciò che conta è mantenere aperto il dialogo con Lui. Verrà un tempo in cui capiremo”.