“La scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del Papa hanno colto una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte”. Ne è convinto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che ha dedicato gran parte della sua introduzione al Consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 22 gennaio, all’anno giubilare appena iniziato. “L’imprevedibilità del futuro fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio”, l’analisi del cardinale: “Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”. “Le porte delle nostre chiese sono sempre aperte a tutti, ma l’oggi del Giubileo ha creato un’occasione opportuna”, ha detto Zuppi: “Ci sono segni che hanno una grande capacità di comunicare e rompono il muro dell’indifferenza, del fatalismo, della rassegnazione che genera paura della vita. La vita sociale e la temibile logica del consumismo offrono tanti segni, spesso effimeri e ingannevoli perché facili e senza prezzo. La speranza ha sempre un prezzo di pazienza e di sacrificio. La Chiesa, nei forzieri della sua tradizione e della sua preghiera, conserva tanti segni eloquenti, che non sono logori o d’altri tempi. In essi si esprime un messaggio forte, di cui essere gioiosamente consapevoli e che il Giubileo e il Sinodo ci stimolano a riscoprire”. Tra i “segni” citati dal presidente della Cei, l’inaugurazione della Basilica di Notre Dame a Parigi dopo il terribile incendio, e le chiese dell’ex Unione Sovietica, che “hanno resistito in decenni di terribile persecuzione antireligiosa e di dittatura comunista (con tanti martiri), solo celebrando la liturgia nello spazio delle chiese rimaste aperte”. “Non bisogna pensare che abbiamo poco da dare o da dire, talvolta finendo per celebrare con sciatteria o ricercando modalità da spettacolo, credendo che quel che diamo e diciamo alla fine interessa poco”, il riferimento alle nostre liturgie: “Ci si è riproposta la domanda di speranza, di qualcosa di nuovo in un mondo e in una vita vecchia; di pensarsi insieme, di essere perdonati e non sommersi da banali parole di benessere; di trovare una porta aperta che faccia entrare nella luce uscendo da un buio insopportabile e drammatico come quello della guerra, della solitudine, della violenza, dell’ombra di morte che avvolge l’anima. Nel deserto c’è più sete di senso e di Dio”.