Salute: ricerca italo-tedesca, l’immunoterapia con i Bite potrebbe risolvere i casi gravi e farmacoresistenti di artrite reumatoide

Foto Policlinico Gemelli/SIR

Potrebbe essere l’alba di una nuova era nella terapia dell’artrite reumatoide, quella annunciata dai risultati di una ricerca italo-tedesca pubblicata su Nature Medicine e siglata dal gruppo della professoressa Maria Antonietta D’Agostino, direttore della Uoc di Reumatologia della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e ordinario di Reumatologia all’Università Cattolica, e del professor Georg Schett dell’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga (Fau). Lo studio appena pubblicato ha esplorato un nuovo possibile approccio terapeutico a questa malattia autoimmune, che consiste nell’organizzare una sorta di appuntamento al buio tra le cellule B e le cellule T, le due protagoniste della risposta immunitaria; incontro che si conclude con l’eliminazione delle cellule B malate (cioè quelle che producono gli anticorpi responsabili dell’infiammazione e della distruzione delle articolazioni), da parte delle cellule T suppressor. A organizzare questa sorta di imboscata immunitaria è il blinatumomab (o Blina), un immunoterapico già utilizzato per il trattamento di alcuni tumori del sangue. Nel caso dell’artrite reumatoide il suo impiego è sperimentale, ma in questa ricerca ha ottenuto un effetto straordinario e inedito sul piano del risultato terapeutico.
“Nei sei pazienti con artrite reumatoide multi-resistente al trattamento (tra i quali anche una paziente italiana), ai quali è stato somministrato in via compassionevole e sperimentale Blina – spiega D’Agostino, – il farmaco ha prodotto un rapido declino dell’attività di malattia, riducendo il livello di anticorpi circolanti e migliorando l’infiammazione dei tessuti sinoviali”. La terapia è stata molto ben tollerata e sofisticate analisi di laboratorio “hanno confermato che il miglioramento clinico è dovuto ad un ‘reset’ immunitario, consistente nell’eliminazione delle cellule B ‘cattive’ (cioè con la memoria ‘attivata’ a produrre continuamente auto-anticorpi), che vengono rimpiazzate da cellule B ‘buone’”. “Questi risultati, molto promettenti per l’entità della risposta e la tollerabilità del farmaco –, sottolinea D’Agostino – suggeriscono la potenziale utilità di questo approccio terapeutico nelle forme più gravi di artrite reumatoide, resistenti alla terapia e potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova era di trattamento per altre malattie autoimmuni mediate dalle cellule B, dal lupus, alla sclerodermia”.

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