Ecuador: ondata di violenza nelle carceri e in tutto il Paese. Mons. Crameri (Esmeraldas) al Sir, “non c’è legge, ho chiesto sospensione delle messe in presenza”

(Foto ANSA/SIR)

Il gesto più plateale e simbolico è quello di ieri, quando verso le 2 del pomeriggio un commando di persone armate e incappucciate ha fatto irruzione durante un programma televisivo, nella sede dell’emittente TC di Guayaquil. Uno degli uomini incappucciati ha piazzato un ordigno esplosivo nei vestiti di uno dei presentatori e lo ha costretto a parlare con la telecamera e a chiedere alla polizia di lasciare la redazione. Una conferma che le bande criminali e del narcotraffico sono “padrone” dell’Ecuador, messo letteralmente a ferro e fuoco negli ultimi giorni e specialmente nelle ultime 48 ore, tanto da spingere ieri il presidente della Repubblica, Daniel Noboa, a proclamare lo stato di “conflitto interno” e il coprifuoco, dispiegando l’esercito nelle principali località del Paese. La situazione, già molto difficile da mesi, è precipitata domenica 7 gennaio, quando il comandante generale della polizia, César Zapata, ha confermato che non si conosceva il luogo in cui si trovava Adolfo Macías Villamar – meglio conosciuto come Fito – leader dei Los Choneros, condannato a 34 anni di carcere. Il criminale era detenuto in un carcere di Guayaquil, da dove è fuggito senza lasciare traccia nel pomeriggio di quel giorno. Ieri si è registrata l’evasione di un altro capo di gruppi criminali, Fabricio Colón Pico, dei Los Lobos, arrestato sabato scorso e subito evaso dal carcere di Quito. Nei principali centri penitenziari del Paese, la situazione è fuori controllo da giorni, con evasioni, scontri tra bande, gesti di efferata violenza. Ma la tensione si è spostata nelle principali città, in particolare Quito, Guayaquil, Loja, Esmeraldas e Cuenca, con autobombe, auto incendiate, attacchi alle forze dell’ordine. Impossibile tracciare un bilancio attendibile di questa ondata di violenza. Solamente a Guayaquil, almeno dieci persone sarebbero state uccise, tra cui due agenti della polizia nazionale. Oltre alla televisione, anche cinque ospedali sono stati presi d’assalto. “La situazione è complicatissima – conferma al Sir mons. Antonio Crameri, presidente di Caritas Ecuador, vescovo del vicariato apostolico di Esmeraldas, città sul Pacifico, da mesi epicentro della violenza nel Paese -. Io in questi giorni mi trovo a Guayaquil, dove si è scatenato l’infermo. Da Esmeraldas mi raccontano di auto bruciate, negozi saccheggiati, persone sequestrati. Mi dicono che sono stati uccisi due agenti che facevano da scorta al procuratore della Repubblica. Quattro capi sono evasi dal carcere. Di fatto, non c’è legge, ora negozi e scuole sono chiusi, io stesso ho chiesto la sospensione delle messe in presenza, come si è fatto durante la pandemia. Io dovrei tornare a Esmeraldas, ma non so se sarà possibile. Iniziano anche a scarseggiare gli alimenti”. “La situazione è preoccupante, anche se qui la vita sta andando avanti con una certa normalità” racconta al Sir da Cuenca (città andina, negli ultimi mesi tra le più “tranquille” del Paese) il docente universitario padovano Damiano Scotton. “Sono comunque esplose tre autobombe, ci sono blocchi stradali, nel carcere sarebbero tenute in ostaggio settanta guardie e altri dodici lavoratori. Una situazione, questa, che si sta verificando anche in molti altri istituti penitenziari”.

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