(dall’inviato a Camaldoli) “Il titolo di questo incontro – Cristianesimo coscienza dell’Europa – non indica un privilegio né una pretesa, ma una responsabilità. Il cristianesimo non può essere l’identità esclusiva dell’Europa, ma può e deve restarne la coscienza: quella voce interiore che ricorda all’Europa la sua origine spirituale, la sua chiamata alla fraternità, la sua misura umana”, ha affermato ancora don Matteo Ferrari. “La fede cristiana ha dato al nostro continente una grammatica morale e simbolica: l’idea della persona come immagine di Dio, la dignità della libertà, la solidarietà con i più fragili, la tensione tra giustizia e misericordia. Ma questa eredità non è un monumento del passato; è un compito che si rinnova in ogni generazione. Quando l’Europa dimentica la propria anima, diventa fragile, smarrita tra potenze economiche e logiche di dominio. Quando invece accoglie la voce della coscienza, torna a essere luogo di umanità, di dialogo, di pace”. Il priore generale dei camaldolesi ha puntualizzato: “Oggi assistiamo a una crisi che è insieme politica, culturale e spirituale. Le guerre che lambiscono i suoi confini, il riemergere di nazionalismi, la paura dell’altro, la fatica a credere nel futuro, sono ferite profonde. Ma anche in questa notte, la fede cristiana può riaccendere una luce: quella di una speranza che non delude, perché nasce dalla comunione con un Dio che si è fatto prossimo, pellegrino, straniero”.
“In un mondo segnato dalla frammentazione, il monachesimo può offrire un segno umile ma eloquente: la vita fraterna come profezia. Vivere insieme, ascoltare insieme, cercare insieme la verità: questo è il primo passo per rigenerare la coscienza dell’Europa. Il nostro tempo non ha bisogno solo di istituzioni più forti, ma di cuori più aperti; non solo di trattati o documenti, ma di legami. La fraternità non è un sentimento ingenuo, è un principio politico e spirituale. È la forma concreta della pace”.
Quindi ha dichiarato: “Mentre iniziamo questi giorni di lavoro e di confronto, vorrei affidare a tutti una parola che per noi monaci è quotidiana: stabilitas. Non è immobilità, ma fedeltà. Fedeltà al luogo, alle relazioni, alla ricerca di senso. È la condizione per un cammino vero. Anche l’Europa, se vuole ritrovare se stessa, deve ritrovare la propria stabilitas: non nei confini, ma nei valori; non nella paura, ma nella fiducia; non nella chiusura, ma nell’apertura”.