Dopo 738 giorni di prigionia, il 13 ottobre Hamas ha rilasciato venti ostaggi israeliani adulti. Le immagini mostrano volti provati ma vivi. Tuttavia, anche se non appare, il trauma c’è. “La liberazione fisica non coincide con quella psicologica”, avverte in questa intervista al Sir la psicoterapeuta Noemi Grappone (nella foto), Emdr practitioner e supervisore Emdr Italia, scavando nelle ferite invisibili della prigionia e della sopravvivenza. “ll disturbo da stress post-traumatico può segnare la vita per anni. Servono cure tempestive e iperspecialistiche, e non bisogna avere fretta”,

Il disturbo da stress post-traumatico, spiega, può congelare o iperattivare la mente, generando flashback, insonnia, dissociazione, senso di colpa verso chi non è stato liberato o è morto durante la prigionia. “Sopravvivere non significa tornare alla vita di prima”, precisa Grappone. “Significa convivere con un dolore che può durare anni”. La crisi identitaria, la perdita di fiducia nel mondo, l’isolamento: queste alcune delle conseguenze di un sequestro prolungato.
Anche chi è scampato alla morte, come Roei Shalev e Shirel Golan, sopravvissuti al massacro del Nova Festival, può essere travolto dal senso di colpa. Entrambi si sono tolti la vita. In quel caso, fa notare la psicoterapeuta, “il trauma è amplificato dalla presenza di un colpevole, dalla barbarie umana”. E negli anniversari, il dolore può riemergere con violenza. “Esiste una vera e propria sindrome dell’anniversario”. Grappone sottolinea l’importanza di un intervento psicologico tempestivo e iperspecialistico. “Non possiamo salvare un corpo e dimenticarci dell’anima. Servono spazi per raccontarsi, ma senza fretta. Per chi ha vissuto l’orrore, la normalità è una rinascita”. E il messaggi conclusivo è: “Riconoscere il trauma, affrontarlo, curarlo”. Perché la vera liberazione comincia solo quando si restituisce dignità alla sofferenza. E si offre una possibilità di rinascita.