Regno Unito: “Nuffield Trust”, centro di ricerca indipendente, boccia la normativa sul suicidio assistito

“Nessuna decisione è stata ancora presa su come finanziare la legislazione sul suicidio assistito e affrontare questo problema è una priorità, se la legge verrà approvata. Inoltre, le cure palliative, nel Regno Unito, sono affidate a una rete poco organizzata di hospice e strutture di assistenza vicine alla Chiesa e ad altre istituzioni religiose che potrebbero rifiutarsi di partecipare all’implementazione della legge”. Con queste parole, contenute in un rapporto intitolato “Il suicidio assistito in pratica: esperienze internazionali e impatto sul sistema sanitario e di assistenza sociale”, il “Nuffield Trust”, centro di ricerca indipendente che studia il sistema sanitario e di welfare britannico, denuncia i limiti della normativa sul suicidio assistito che viene discussa, in questo momento, dal Parlamento britannico. Il “Terminally Ill Adults (End of Life) Bill”, questo il nome della legge, prevede che adulti maggiorenni malati terminali, con un’aspettativa di vita di sei mesi e la capacità di intendere e di volere, possano chiedere di morire dopo che due medici hanno dichiarato che hanno diritto al fine vita e non sono stati sottoposti a pressione o coercizione. La legislazione è stata approvata con una maggioranza risicata di 23 voti, 314 contro 291, dalla Camera dei Comuni, la Camera bassa del Parlamento di Westminster, lo scorso giugno e comincia ad essere discussa dalla Camera dei Lords il prossimo 12 settembre. Il dibattito, che comporterà anche la proposta di una serie di emendamenti, durerà settimane e la legge potrebbe anche decadere perché non ci sarà tempo sufficiente per la sua approvazione. Anche se i Lord possono rimandare più di una volta una legge ai Comuni, non hanno mai bocciato una legge approvata dalla Camera bassa.
Secondo il vescovo John Sherrington, arcivescovo di Liverpool e responsabile del settore vita per la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, “il rapporto del Nuffield Trust” conferma che “non esiste un modo sicuro di legalizzare il suicidio assistito”. “Una normativa che dia il via libera al fine vita porta sempre all’erosione di una cultura della cura, mette una forte pressione morale e materiale sul servizio sanitario, fa sì che un numero sempre più alto di pazienti si trovino in una condizione vulnerabile alla fine della loro vita e pone gli operatori sanitari in situazioni moralmente difficili”.

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