Carcere e salute mentale: Roma, convegno alla Lumsa. Clementi (Regina Coeli), “dare risposta integrata con collaborazione tra operatori pnitenziari e sanitari”

“Oramai c’è una situazione di disagio e di patologia mentale molto diffusa. L’area del disturbo è così elevata, ovviamente per chi è detenuto si associa a tutta una serie di altre difficoltà, che oramai il carcere non può essere più la risposta unica a queste situazioni. È vero che i detenuti sono soggetti in custodia cautelare o che hanno commesso dei reati e quindi debbono giustamente scontare una pena, però in alcuni casi la problematica relativa al disturbo mentale, pur non determinando un’incapacità d’intendere e di volere, prevale sulla commissione del reato. E allora l’unica cosa che si può fare è dare una risposta integrata che preveda una collaborazione tra le vari professionalità: quella degli operatori penitenziari e quella degli operatori sanitari”. Lo ha detto Claudia Clementi, direttore della casa circondariale “Regina Coeli” di Roma, intervenendo al convegno “Carcere e salute mentale – L’intervento con adulti e minori autori di reato”, all’Università Lumsa di Roma.
“A volte noi non conosciamo i dati sanitari dei detenuti, perché a causa della normativa sulla privacy, non sappiamo quali sono le persone all’interno dei nostri istituti che hanno dei disturbi diagnosticati e chi sono le persone che assumono terapie prescritte dagli psichiatri. Non sappiamo quali sono e quanti sono i detenuti che risultano tossicodipendenti – ha aggiunto Clementi -. E quando parliamo di dipendenze oggi, non parliamo di quelle tradizionali, ma di polidipendenze, da sostanze che non sono ancora classificate. Oggi c’è l’allarme Fentanyl e siamo tutti preoccupati per questa cosa. Ma non è solo questo, ci sono tante altre situazioni dove il disturbo si assomma a disturbo e il disagio si assomma a disagio. Io dico sempre una frase: per molte delle persone che sono in carcere, la commissione del reato è l’ultimo dei problemi”.
Il direttore ha evidenziato: “A Regina Coeli c’è una forte attenzione sulla sanità in carcere. Ci sono molti professionisti sanitari, certo sempre meno rispetto a prima perché la carenza di risorse esiste per tutte le amministrazioni a vari livelli, ma ci sono strumentazioni diagnostiche e c’è la vicinanza a strutture esterne d’eccellenza del territorio romano. Quindi è un’esperienza che, seppur a volte connotata da una difficoltà di dialogo perché capita di ‘parlare lingue diverse’, avendo obiettivi comuni e grazie alla buona volontà di tutti consente di superare le complicazioni. Ma ci sono situazioni che non possono essere trattate in un ambiente come quello del carcere. Hanno bisogno di altre strutture”.

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