Israele e Hamas: card. Pizzaballa (patriarca), “non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore”

(Foto ANSA/SIR)

Volgere lo sguardo “verso l’Alto”, perché “abbiamo bisogno di una Parola che ci accompagni, ci consoli e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo”. È l’invito che il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa lancia a tutti i fedeli della diocesi patriarcale in una lettera indirizzata loro e diffusa oggi. Parlando della guerra in corso tra Israele e Hamas il patriarca ricorda le parole di Gesù ai suoi discepoli alla vigilia della sua passione: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). “Gesù – spiega il cardinale – non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace. Non si tratta – rimarca il cardinale – di una pace irenica campata in aria, né di rassegnazione al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. Ma di avere la certezza che proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio”. E “avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, – ha avvertito Pizzaballa – significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti. Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità, per mantenere l’unità, sentirsi uniti l’uno all’altro, pur nelle diversità delle nostre opinioni, delle nostre sensibilità e visioni. Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo”.

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