Fine vita: i vescovi campani, “no a scorciatoie letali, sì alla cura che accompagna”

Custodire ogni vita, accompagnare ogni sofferenza. È il cuore della nota pastorale sul fine vita diffusa dai vescovi della Campania, che intervengono nel dibattito pubblico ribadendo con chiarezza il “no” della Chiesa a eutanasia e suicidio assistito e rilanciando, al tempo stesso, un forte appello alla cura, alla prossimità e alle cure palliative. Una presa di posizione che nasce dall’ascolto delle situazioni di dolore e dalla preoccupazione per quelle che i presuli definiscono “derive sempre più drammatiche”, in un contesto culturale segnato dalla tentazione di ridurre la vita a criteri di efficienza, autonomia o utilità.
Al centro del documento c’è la persona, con la sua dignità intrinseca e inalienabile, che non viene mai meno nemmeno nella malattia, nella disabilità o nella fase terminale dell’esistenza. La vita, ricordano i vescovi richiamando l’Evangelium vitae e la Dignitas infinita, non è un diritto disponibile, ma un dono da accogliere e custodire, fondamento di ogni altro diritto. Per questo, nessuna legge può legittimare atti che sopprimono intenzionalmente una vita umana, anche quando invocati in nome della compassione.
Il “no” all’eutanasia non è però un rifiuto freddo o ideologico. Al contrario, è accompagnato da un deciso “sì” alla cura e al prendersi cura: evitare l’accanimento terapeutico, garantire un accesso equo e universale alle cure palliative, sostenere le famiglie e formare il personale sanitario secondo una visione integrale della persona. Proprio sul fronte delle cure palliative, i vescovi denunciano i ritardi anche in Campania e chiedono alle istituzioni di colmare un vuoto che rischia di tradursi in solitudine e abbandono. La nota si chiude con un appello alla responsabilità di tutti: comunità cristiane chiamate a essere “case della misericordia”, educatori e giovani impegnati a costruire una cultura della vita, politici invitati a legiferare guardando alla dignità della persona, soprattutto nei momenti di massima vulnerabilità. In gioco, ricordano i vescovi, non c’è solo una questione etica o religiosa, ma il volto umano della società.

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