(dall’inviato a Camaldoli) “Attualmente la cancel culture è rafforzata dal movimento woke, questo ‘risveglio’ promosso dalle minoranze da circa un decennio, inizialmente negli Stati Uniti. Si tratta – ha affermato nella sua relazione il teologo protestante svizzero Pierre Gisel – di un movimento che intende mettere davanti ai nostri occhi e alle nostre responsabilità le realtà della schiavitù, le visioni della donna (tra femmes fatales e streghe), le perversioni del ‘binario’, la relegazione di ciò che non si integra (le culture autoctone, le tradizioni emarginate, perseguitate o semplicemente minoritarie), la condanna degli eretici, se non addirittura di ogni dissidenza”. In nome del woke, le figure di riferimento “vengono abbattute, le statue rovesciate, i libri bruciati, le narrazioni cancellate, le opere d’arte espulse dallo spazio pubblico”; ma dietro la reazione in questione si nasconde la problematica delle differenze nei modi di vivere lo spazio e il tempo, nonché il rapporto col mondo e con gli altri esseri umani. Si invoca principalmente la giustizia, ma essa può portare a nuove ingiustizie, e l’uguaglianza, ma quest’ultima può aprire la strada a un egualitarismo fatto di semplici livellamenti”. La denuncia delle figure di riferimento e di altri monumenti del passato “ha i suoi risvolti negativi. Toccando le identità, alimenta reazioni difensive a loro volta violente. Si attacca il wokismo e si apre la strada al populismo”. Populismo che, secondo l’oratore, “non è in grado di considerare le differenze, per il bene di ciascuno e di tutti, né di sfruttarle, tanto meno di partire da esse; e non è in grado nemmeno di convalidare e lavorare sulle mediazioni, né di pensare a un ‘bene comune’, poiché si trova consegnato alle sole autoaffermazioni. Il ‘fenomeno Donald Trump’ lo illustra ampiamente, tra l’altro nel peggiore dei modi”.
“Poiché il cristianesimo viene sovente messo in discussione nel movimento woke, i cristiani si uniscono al tipo di reazione che contesta quanto sarebbe derivato dalle élite liberali. Questo è notoriamente il caso degli evangelici, i quali, in larga misura, hanno sostenuto Trump durante le sue tre campagne presidenziali”. A suo avviso “si sta implementando una strategia volta a far sì che i cristiani assumano (riassumano?) il controllo delle diverse sfere culturali. […] L’obiettivo qui non è quello di un mondo plurale, in cui i diversi modi di viverlo dovrebbero interagire in modo proficuo, ma piuttosto quello di un’egemonia della visione vera e propria sotto forma di modello o contro-modello per il mondo”.
Un’ampia parte della trattazione di Gisel si sofferma sul fatto che il cristianesimo abbia portato “visioni contraddittorie dei suoi rapporti col mondo”: diversi gli esempi, a questo riguardo, esplicitati dal relatore.
Per poi affermare: “Alla luce delle posizioni troppo spesso adottate dal cristianesimo, la tentazione di una tabula rasa è forte. Essa è alla base della cancel culture, non senza il fantasma di un nuovo inizio, liberato da ciò che, fino a quel momento, aveva pervertito il corso della storia e dell’umanità. Ci si affida quindi solo al presente e alla novità che può nascere da esso, alleggeriti da ogni peso del passato. E non si mettono in discussione le nuove proposte”. In linea con questo tipo di posizione, “nel cristianesimo si può essere tentati di selezionare o riscrivere, ad esempio la Bibbia, per eliminare l’antigiudaismo, la misoginia, le violenze. Si tratta di una difesa del cristianesimo diversa da quella dei cattolici tradizionalisti o degli evangelici, ma comunque una difesa a priori”. I cristiani “di buona volontà” metteranno così “in primo piano Francesco d’Assisi e non l’Inquisizione, Dietrich Bonhoeffer e non i Deutsche Christen, Martin Luther King e non il Ku Klux Klan, le teologie della liberazione e non il sostegno dato ai regimi autoritari. E si rileggerà la storia cristiana come se avesse portato o almeno favorito la nascita dei diritti umani, della democrazia, della libertà individuale, mentre il cristianesimo vi si era spesso opposto”.