“La carità non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto”. Lo scrive il Papa, che nel terzo capitolo della “Dilexi te” rilancia il sogno rivelato ai media da Papa Francesco, tre giorni dopo la sua elezione: “Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”. Già nella visione dei Padri della Chiesa, quest’ultima era vista come “madre dei poveri, luogo di accoglienza e di giustizia”, ricorda Leone XIV, perché “la Chiesa nascente non separava il credere dall’azione sociale”: “la teologia patristica era pratica, puntando a una Chiesa povera per i poveri”. Nel testo, Leone cita tra l’altro la figura di Sant’Agostino come “luce sicura” per la Chiesa, l’attività di quest’ultima per la cura dei malati, attraverso gli ospedali cattolici definiti “ospedali da campo nelle zone di guerra”, l’opera di monaci come San Benedetto e degli Ordini mendicanti per contrastare “la cultura dell’esclusione”, l’attenzione alla liberazione dei prigionieri e alla condizione dei carcerati. Come ispirazione di fondo dell’esortazione apostolica, San Francesco d’Assisi, “icona” di questa “primavera spirituale”: “La sua vita fu una continua spogliazione: dal palazzo al lebbroso, dall’eloquenza al silenzio, dal possesso al dono totale. Francesco non ha fondato una realtà di servizio sociale, ma una fraternità evangelica. Nei poveri ha visto fratelli e vive immagini del Signore. La sua missione era di stare con loro, per una solidarietà che superava le distanze, per un amore compassionevole. La sua povertà era relazionale: lo portava a farsi prossimo, uguale, anzi, minore. La sua santità germogliava dalla convinzione che si può ricevere veramente Cristo solo donandosi generosamente ai fratelli”.