Vocazioni e università: don Rosini, “discernimento giovanile richiede essenzialità e purificazione da distrazione e comfort che intontisce”

Foto SIR

“Perché perdiamo la sensibilità? Perché certe cose non le vediamo e le perdiamo?”. Il tema della sensibilità, “sentire”, fondamentale nel discernimento, è al centro del contributo video di don Fabio Rosini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle vocazioni della diocesi di Roma, nella seconda giornata del convegno nazionale vocazioni e pastorale universitaria, promosso fino a domani nella capitale dagli Uffici nazionali Cei per la pastorale delle vocazioni, e per l’educazione, la scuola e l’università. “Per fare il discernimento giovanile, vocazionale – avverte il sacerdote -, bisogna mettere in atto un processo di purificazione”, di “liberazione da uno stato confusionale, per capire in mezzo a tante voci qual è la voce autentica”. Consacrazione e distrazione “sono l’uno il contrario dell’altro” perché la consacrazione è “il direzionarsi verso un preciso obiettivo, il cielo, mentre la confusione è l’essere distratti, tirati, espropriati da mille impulsi”. Così il contrario dell’insensibilità “è, curiosamente, la povertà: bisogna rinunciare, bisogna chiudere il telefonino, bisogna smettere di tenere i piedi in troppe staffe o le mani in pasta in troppe avventure”. “Il tema della rinuncia – ammonisce don Rosini – è essenziale. Senza povertà, senza essenzialità non faremo discernimento né su noi stessi né, tantomeno, sugli altri”. Occorre insomma “superare la montagna di spazzatura che si ha nel cervello”. Ed ogni scelta comporta una perdita: “scegliere Cristo vuol dire perdere il mondo”, ma “chi sceglie Cristo anziché il mondo, avrà sia Cristo sia il mondo perché inizierà a essere in questo mondo molto più consapevole, percependo la profondità e la bellezza delle cose”. Chi invece sceglie “il mondo, non avrà né il mondo, né Cristo. Perderà Cristo per stare appresso agli intontimenti”. “Se vogliamo affrontare la pastorale giovanile e il discernimento, dobbiamo affrontare il tema dell’intontimento, del comfort che istupidisce”, il monito del sacerdote.
Il pensiero, infine, ai sacerdoti del tempio, incaricati di preparare gli animali per il sacrificio tagliando le parti che non potevano essere offerte. “Dobbiamo tornare a fare i sacerdoti – ammonisce don Rosini -; dobbiamo tornare a tagliare ed anche ad essere un po’ più nitidi nella nostra comunicazione”. No al politically correct: “Dobbiamo avere una parola che taglia, che va al punto, che offre anche la possibilità di una rinuncia, traumatica se vogliamo, ma pensare di seguire Gesù Cristo a emissioni zero è impossibile; ci sarà per forza qualcosa che sanguina un po’. Non si può seguire Gesù Cristo facendo contenti tutti; non si può essere Chiesa in questo mondo facendo contento il mondo”, scandisce il sacerdote. E rifacendosi alla propria esperienza: “Tento di fare una predicazione quanto più possibile nitida, chiara, senza ambiguità, e non so dove mettere i ragazzi; quando invece vedo qualcuno che vuole parlare facendo sempre contenti tutti, i ragazzi scappano perché percepiscono ambiguità”. I ragazzi, conclude, “cercano degli originali, non delle brutte copie”.

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